Monica Acito, una favola turbinosa sulla sete d’amore

Tra alcuni grandi classici napoletani e il realismo magico alla Marquez il debutto di Monica Acito, “Uvaspina”. Una vicenda che si svolge nel quartiere partenopeo di Chiaia. Protagonisti Uvaspina, ragazzo dalla bellezza efebica, sua sorella Minuccia, anatroccolo mai maturato, e una città capace di aprirsi a un orizzonte di felicità, sebbene pagata a caro prezzo

… Ma tutto quel che voglio, pensavo
È solamente amore
Ed unità per noi
Che meritiamo un’altra vita
Più giusta e libera se vuoi
Nata sotto il segno, nata sotto il segno dei pesci.

Uvaspina (416 pagine; 20 euro), esordio di Monica Acito, Bompiani edizioni, è arrivato in libreria il 22 febbraio. Non mi viene in mente formula più azzeccata delle strofe di Venditti per il rito battesimale di un romanzo nato proprio sotto il segno dei pesci. Strofe che colpiscono nel segno anche in senso letterale poiché, casualmente è ovvio, riverberano il cuore pulsante della storia: una favola turbinosa sulla sete d’amore che dilania singolarmente sia Uvaspina che Minuccia, il fratello e la sorella protagonisti del libro, fino alla lacerazione/liberazione/impulsione dell’intero nucleo familiare.

Il mare

Il riferimento astrologico, infilato giocosamente come rompighiaccio nell’incipit di questo consiglio di lettura, mi fornisce un altro assist, prezioso nell’indicare alcune caratteristiche che “Uvaspina” pare quasi mutuare dalla sua appartenenza astrale.
Innanzitutto, il ruolo giocato dal mare. L’elemento peculiare del segno zodiacale domina, infatti, in maniera altrettanto pregnante anche il romanzo.
Esso, in una abbagliante tonalità cerulea, fa prima da sfondo al tuffo in posizione raggruppata della figura maschile in copertina e poi si insinua nel testo a contrassegnarne tanto l’ambientazione, quando il ritmo narrativo. “Uvaspina” si svolge a Chiaia, l’aristocratico quartiere napoletano che fin dal nome – corruzione del latino plaga, cioè spiaggia – si identifica con l’arenile cittadino d’elezione. Le acque di Mergellina e Posillipo sono, dunque, presenza immanente nelle pagine. Come fiotti inarrestabili, di volta in volta le bagnano, le irrigano, le idratano o al contrario le inondano, le travolgono, le infradiciano, esattamente con la modalità  – positiva o negativa – propria di ciascuno dei verbi che ho utilizzato. Si mischiano ai fatti narrati, determinano destini, temprano caratteri.

Archetipi antitetici

Pure la rappresentazione iconografica della costellazione, composta da due pesci che nuotano in senso contrapposto, pare essere fedelmente rispecchiata dagli antitetici archetipi dei due protagonisti. Uvaspina, il personaggio maschile, connotato da una piccola voglia a forma dell’omonimo frutto sotto l’occhio sinistro, è, fin dalla primissima fanciullezza, di una conturbante bellezza efebica. La sua indole è silenziosa, riservata, dolorosamente arrendevole. Un soggetto da spremere, similmente all’acino da cui mutua il nomignolo. Al contrario Minuccia, sua sorella e antagonista, è speranza di bellezza disertata, anatroccolo mai maturato. Quel fisico sgraziato, quella esteriorità trascurata sono, tuttavia, quasi il proclama pubblico della sua ben peggiore malvagità d’animo. La bambina viscerale, brutale, incontenibile nei suoi moti di collera fin dalla prima apparizione nella storia, è l’insaziabile spremiagrumi che, da adulta, goccia a goccia prosciuga il fratello.
Dove però la corrispondenza tra “Uvaspina” e “i pesci” rasenta il suo apice è nel carattere della scrittura sfoderata da Monica Acito.

Istinto di affabulatrice

I nati sotto il segno dei pesci, stando al paradigma classico, sono fantasiosi, sensibili, portati per l’amore romantico, attratti dal mondo esoterico. Cedono al sentimento di nostalgia del passato, alla fuga nel sogno, alla fascinazione di percezioni extrasensoriali. La fiducia nel futuro e la voglia di giocare nel presente si mescolano ad unificare gli opposti: realtà e illusione, vita e morte, gioia e dolore. Ingredienti tutti che screziano, in maniera originalissima, la voce di Monica Acito. La giovane scrittrice campana ha lasciato prevalere il suo istinto di affabulatrice e vi si è abbandonata, costruendo una trama che restituisce, nell’intreccio della vicenda inventata, tutto il background sul quale si è radicata. Si intuisce la cultura familiare e quella di formazione universitaria. Si svela, soprattutto, il percorso di lettrice. Affiorano i debiti verso Anna Maria Ortese, Salvatore Di Giacomo, Domenico Rea, ma anche a Marquez quale portavoce del realismo magico di matrice sudamericana. Ciascun contributo è elaborato secondo un gusto e una forma personalissimi, a cesellare una filigrana di passione, istintività, sortilegi che fa presa salda su chi legge.
Uvaspina è un romanzo classico nell’impianto che, tuttavia, cristallizza una dimensione di atemporalità capace di riportarlo alla modernità e di renderlo pienamente contemporaneo.
Leggende, lingua costruita sulla commistione di italiano e dialetto, lo scenario di una Napoli avvizzita nelle tradizioni ma pur capace di aprirsi a un orizzonte di felicità benché pagata a caro prezzo, lasciano presagire un futuro di successi per Uvaspina e la sua autrice, Monica Acito.

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