Bernardo Atxaga, arginare la morte e raccontare i baschi

Due amici fraterni, nativi dei Paesi Baschi e con trascorsi nell’Eta, si guardano indietro, prendendo pienamente coscienza del proprio passato, a cominciare dagli orrori della guerra civile spagnola e dalle violenze del terrorismo. Uno sta per morire in California, l’altro tornerà a casa con un libro di memorie dell’amico, che tradurrà e integrerà. Ecco “Il figlio del fisarmonicista” di Bernardo Atxaga

Non ce ne voglia Fernando Aramburu (qui una sua intervista), che con i suoi libri, scritti in spagnolo, ha riportato la questione basca nel cuore della letteratura europea, ma c’è uno scrittore basco contemporaneo ancora più grande, ovvero Bernardo Atxaga (senza dimenticare la più giovane Gabriela Ybarra). I due non si amano (per usare un eufemismo), con Aramburu assurto a totale popolarità internazionale, si registra con gioia comunque la rinascita editoriale in Italia di Bernardo Atxaga, non la prima perla del catalogo Einaudi rilanciata dalla casa editrice 21lettere. Era già accaduto con Walter Mosley (ne abbiamo scritto qui e qui) e la storia si ripete con l’autore per eccellenza di euskera, la lingua basca più antica del greco e del latino, osteggiata e perseguitata dal regime franchista, che è patrimonio di mezzo milione di persone. Qualche anno fa 21lettere aveva recuperato i racconti legati da un filo rosso di Obabakoak, storie ambientate nell’immaginaria località basca di Obaba, territorio allo stesso tempo idilliaco e pieno d’odio, tra realtà e giochi di specchi, realismo magico e metaletterarietà. Adesso Atxaga (oltre che dallo Struzzo pubblicato da altre sigle italiane, e ogni volta scivolato fuori catalogo…) torna con un romanzo che, alla prima edizione italiana, aveva sbancato il premio Mondello e il premio Grinzane Cavour.

Identità e lingua

Vecchia traduzione, quella di Paola Tomasinelli, nuovo titolo, ovvero Il figlio del fisarmonicista (539 pagine, 19 euro), perfettamente aderente all’originale, rispetto a Il libro di mio fratello, come era stato ribattezzato in casa Einaudi. Prima di tutto questo romanzo figlio dell’affabulazione racconta di un’amicizia nata alle scuole elementari, conclusasi oltre quarant’anni dopo, nel 1999, a causa della morte del cinquantenne David; l’amico fraterno Joseba (che tra l’altro è il nome all’anagrafe dell’autore…), nelle prime pagine, si trova in California, al funerale di David. Alle spalle dei due amici ci sono alcune ombre che si allungano implacabilmente, inducendo alla riflessione: al netto di temi eterni, amore, famiglia, malattia, tradimento e morte, naturalmente, emergono la guerra civile che nei paesi Baschi, fra Pirenei e oceano, continuava anche quando era finita (tra tombe collettive e, per sopraggiunta, forse i crimini dello stesso padre di David…), e l’epoca del movimento separatista, della stagione di fuoco condotta dall’Eta. Disillusi ma indenni, come si comprende dai vari flashback, David e Joseba saranno in qualche modo coautori del volume che i lettori tengono in mano: il primo, figlio di un fisarmonicista, lascia un libro di memorie scritto in basco, non il semplice racconto di una vita, ma un tentativo di arginare il peso della morte e di raccontare l’identità di un popolo e di una lingua speciale: ci sono copie per la moglie Mary Ann, per le due figlie della coppia, e per la biblioteca di Obaba che Joseba è chiamato a riportare oltreoceano, a casa. Joseba non solo lo tradurrà in castigliano, ma ci metterà anche del suo.

In clandestinità

I ricordi di gioventù, datati anni Sessanta, si mescolano con una presa di coscienza di quanto accaduto negli anni Trenta, ossia durante la guerra civile che ha consegnato al Spagna alla dittatura di Franco: David e i suoi coetanei scoprono le fucilazioni sommarie a Obaba, il bombardamento della città basca di Guernica, prendono una direzione. Alcuni di loro, compresi Joseba e David, finiranno per entrare in clandestinità in un gruppo terroristico contro il regime (che, fra gli altri orrori, brucia i libri in lingua basca): la violenza, però, non può essere la molla di una rivoluzione che vuole affermare principalmente un’identità, entrambi credono nella forza della lingua e della cultura e riusciranno, non senza conseguenze, a dire addio a un’organizzazione mai chiamata esplicitamente Eta (che ha abbandonato la lotta armata nel 2011), anche se… Un romanzo, quello di Bernardo Atxaga, che merita di tornare ad avere uno spazio importante nelle librerie e nei nostri pensieri.

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