Jacques Fux, la Shoah e l’eterna trasmissione della sofferenza

Tra i maggiori scrittori ebrei brasiliani, Jacques Fux torna con “Eredità”, una catena di silenzi, traumi, barriere e abissi che attraversano tre generazioni di donne, colpite all’anima dalla Shoah. Il romanzo è composto dal diario di una ragazza nel ghetto di Lodz, dalle sedute psicanalitiche della figlia di quella ragazza e dal racconto della nipote. Vite segnate, narrate analiticamente e poeticamente…

In Brasile si suicidò Stefan Zweig e visse gran parte della sua vita la leggendaria Clarice Lispector, ma se dobbiamo guardare ai brasiliani che hanno dato lustro alla letteratura ebraica bisogna rivolgere lo sguardo altrove: soprattutto a Moacyr Scliar, leggenda di Porto Alegre, medico e grandissimo scrittore scomparso da una dozzina d’anni, pubblicato in Italia principalmente da Voland; e poi bisogna seguire con grande attenzione un paio di suoi “discepoli”, come Ronaldo Wrobel (ne abbiamo scritto qui) e Jacques Fux. Di quest’ultimo Giuntina aveva già pubblicato Sulla follia ebraica (ne abbiamo scritto qui) e adesso raddoppia con un libro ancora più affascinante, Eredità (131 pagine, 14 euro), tradotto dal portoghese in italiano da Vincenzo Barca.

Patrimonio

I dolori, i silenzi, i traumi, le sofferenze fisiche e psicologiche, e ancora le inquietudini e i ricordi raccapriccianti sono una pesantissima eredità che si trasmette di generazione in generazione. È scientificamente provato che, a livello genetico, ci siano trasmissioni di quell’enorme abisso che è stato la Shoah, e che arrivano a manifestarsi anche alla terza generazione. Patirono i genitori, nella stragrande maggioranza vittime e non sopravvissuti, patiscono i figli e i nipoti che non vissero direttamente la persecuzione e lo sterminio, ma che ne furono, che ne sono completamente invasi. Si tratta di un lascito amarissimo, di cicatrici e ferite tutt’altro che invisibili, di un “patrimonio” che è cruciale nelle pagine del romanzo di Jacques Fux; sulla pagina l’autore brasiliano intreccia tre indimenticabili voci di donne: nonna, madre e nipote, Sara, Clara e Lola; in particolare si alternano: le pagine di diario di Sara (che iniziano nel ghetto di Lodz nel 1939 e vanno avanti per qualche anno, fino al 1945, quando scrive: «Ho diciannove anni e mi sembra di essere morta da secoli»), sopravvissuta al lager e riparata in Brasile dopo la seconda guerra mondiale; le trascrizioni delle sedute psicanalitiche di Clara, incinta e separata («Mia figlia sarà il mio bambolotto. Sono egoista. Lei sarà la mia cura e la mia unica gioia. E non porterà nessun marchio nazista. Non sarà neppure ebrea. Le nasconderò il mio passato); il racconto di Lola, che pur facendo i conti col passato e con gli incubi, li affronta a viso aperto, mandando all’aria i piani della madre e si rivolge a sua volta alla figlia Luiza.

Ho vissuto in Israele molti anni dopo quello che era stato il sogno di mia nonna: vivere al sicuro nella Terra Promessa. Ho realizzato il sogno di mia nonna. Ho abitato in un kibbutz, ho lavorato la terra, mi sono trasformata in una donna forte. Sono diventato una studiosa della Shoah. Oggi difendo e lotto per la memoria del mio popolo, per recuperare le storie dimenticate e cancellate dai nazisti.

Trinità femminile

Il romanzo va avanti per brevi intensi frammenti, riverberi di sofferenze, di traumi altrui che hanno comunque invaso e segnato vite. Lola, ultimo anello della catena, fa di tutto per spezzare l’«eterna trasmissione della sofferenza», per esorcizzare disperazioni e silenzi, per far quello che nonna e madre non sono riuscite a fare. Sara racconterà dell’adorata sorella, del primo amore Dawid, di vessazioni e deportazioni, di un «matrimonio di disperazione che cercava di mettere il punto finale alla catastrofe», dopo la guerra. I grovigli e gli sgomenti dell’anima, le barriere affettive che metterà fra sé e la figlia Clara, relazione distorta che si perpetuerà anche tra figlia e nipote, sono evocati da Jacques Fux in modo puntuale, analitico eppure poetico. Pur puntando i riflettori sull’indicibile è un romanzo accessibile ai più, da fare leggere anche a qualche adolescente. Nella semplicità assoluta – direttamente proporzionale alla potenza – della prosa risiede uno dei segreti di Eredità, nella trinità femminile, nella triade materna

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