Un flâneur da binario, sogno di Calvino e storia di Magliani…

Una storia che potrebbe essere nata dalle idee di Italo Calvino, ma anche un sogno che dipinge, a suo modo, il grande scrittore. È “Il bambino e le isole” di Marino Magliani, omaggio letterario e raffinato di uno dei maggiori autori del Novecento. Lo spunto è il reale passaggio di Walter Benjamin a Sanremo, negli anni Trenta. Immaginario l’incontro con un bimbo di nome Italo, poi ragazzo, adulto e infine anziano, un vagabondo ferroviario…

C’è tanta poesia tra le pagine dell’ultimo romanzo di Marino Magliani: la poesia di uno scrittore che sa dipingere un personaggio struggente dentro un paesaggio di rara delicatezza fatto di carta e inchiostro, di isole e di sogni, di treni e di orizzonti. Il bambino e le isole (192 pagine, 17 euro), pubblicato da 66thand2nd, porta un insolito sottotitolo: “Un sogno di Calvino”. È un esplicito omaggio a Italo Calvino nel 2023 che ne segna il centenario dalla nascita, ma anche un racconto raffinato e letterario, che sa intrecciare temi, sguardi, invenzioni ripercorrendo la vita e le opere dello scrittore mentre, in parallelo, crea la storia di una flânerie ferroviaria lunga come la Liguria. 

Liguria ferroviaria

Realtà, fantasia: Magliani gioca in campo aperto sul filo della pagina, e lo fa nella geografia che più di tutte privilegia, quella ligure. Il romanzo prende avvio da una storia reale e sorprende lo scrittore Walter Benjamin a Sanremo, dove si è davvero recato diverse volte per soggiornare a Villa Verde, ospite della moglie Dora. Siamo nel 1935, un bambino di nome Italo lo vede arrivare con la sua cassa piena di albi per l’infanzia, anche questo dettaglio non del tutto sganciato dalla realtà. Che quel bambino sia Italo Calvino è però pura fantasia. Certo, il futuro scrittore era allora un ragazzino, e forse si accompagnava davvero all’amico Duilio Cossu (Biancone, così sarà chiamato nella finzione letteraria da Calvino il personaggio, realmente esistito), ma è proprio in questa prima piega della pagina che si costruisce l’idea narrativa di Magliani. 

Sembra infatti che proprio a Duilio Calvino avesse raccontato una possibile storia, quella di un bambino che inseguiva la fine dei binari. E se Benjamin avesse ragione, se il giovane Italo scrivesse la storia di un bambino al quale il pallone finisce giù lungo i carruggi, oltre la linea ferroviaria, e se questo bambino, per non disobbedire alla mamma, non oltrepassasse i binari ma, convinto di trovarne la fine, si avviasse in una direzione inseguendoli?

La striscia dei binari, potenzialmente infinita, diventa lunga come la vita di un personaggio che da bambino si fa ragazzo, un vagabondo ferroviario e poi un vecchio che trascorrerà tutti i suoi anni seguendo le traversine da Sanremo verso Levante. Un viaggio lungo una vita, lungo come la Liguria (“si può distinguere il futuro e il passato come il viaggio tra le due stazioni del tempo, è la lunghezza della Liguria” scrive Magliani) e punteggiato di luoghi, borghi e città liguri, e isole. Un viaggio che è anche un nastro di Möbius, inganno impossibile dove una faccia distinta finisce per corrispondere all’altra, opposta. E così il giovane Italo potrebbe essere Calvino, ma anche un personaggio di Calvino, e i due potrebbero avere esistenze parallele come i binari, che non si incontrano mai, eppure si sfiorano. Miracoli, poesia, “nostalgia dell’impossibile” che vivono dentro le pagine della letteratura, solo lì. 

Il gioco delle isole 

“Non c’è niente di speciale al mondo, se tu non lo rendi speciale” dirà Benjamin al bambino. Ed ecco che può partire il gioco, basato su una costrizione che si oppone a quella del barone rampante. Lui aveva una sfida verticale e vegetale, non scendere mai dagli alberi, il personaggio protagonista si pone invece un vincolo orizzontale, che è poi il medesimo di Magliani in questo romanzo ed è un contraltare alla Liguria di Calvino: percorrere l’orizzontalità minerale ferroviaria. Via le vallate, spaccature profonde che danno la schiena al mare: il nastro della ferrovia si snoda da Ponente a Levante e viceversa, tutto rivolto verso l’aprico, l’orizzonte. E l’orizzonte, per un personaggio che si muove nei sogni di Calvino, non potrebbe non essere costellato di isole. Isole vere: la Gallinara, che appare diversa a seconda che la si osservi da Alassio o da Albenga, l’isola di Bergeggi, la Palmaria e su tutte la Corsica, l’isola che a volte c’è a volte no, vaporosa e onirica come solo i sogni. Isole che sono anche fantasia, desideri, approdi, proprio come la letteratura. 

Se questa storia è “un sogno di Calvino”, si tratta di un sogno letterario, la favola di un flâneur da binario che custodisce il suo sogno oltre il territorio dell’infanzia, portandolo là dove non è più per gioco e per finta, dove si diventa grandi. E se la motivazione del viaggio ferroviario fosse lo stesso Calvino, inventore del destino del bambino nella finzione della pagina? Calvino è, per Magliani, il riferimento letterario, l’ispirazione e l’avvio narrativo: è la spinta alla letteratura, e alla scrittura. E cos’è la storia di una vita se non la ricerca di un’isola che forse c’è, ma forse no, e che è cangiante, appare e scompare come una fata Morgana? 

Il romanzo di Magliani è un viaggio di scoperta, l’avventura di un destino inventato che pagina dopo pagina prende forma e si fa personaggio ferroviario, inseguitore di isole così come Benjamin inseguiva la mitologica lucertola occellata che, si dice, vive solo a Pompeiana, vicino a Sanremo. Sogni azzurri, un po’ materni, sui quali puntare la bussola e impostare la propria geografia. Ma quel personaggio ferroviario sta allora, forse, inseguendo il nulla, e la letteratura è quindi un’isola destinata a svanire, come la Corsica e come il destino di un personaggio di carta? “A chi da bambino non è riuscito a scappare” recita la dedica in apertura al romanzo, rispondendo in parte all’interrogativo: le fughe più belle, si sa, sono quelle tra le pagine. 

Cartografie calviniane

“Il bambino e le isole” è imbevuto di riferimenti calviniani, tanto da rappresentare, oltre a una giocosa sfida letteraria e a una lettura intensamente poetica, con la sua prosa evocativa, una cartografia dei percorsi umani e letterari di Italo Calvino. C’è il piccolo figlio di grandi botanici e agronomi nella Sanremo degli anni Trenta, c’è Villa Meridiana, Stazione Sperimentale di Floricoltura, e il podere di San Giovanni. C’è Duilio, e insieme a lui gli amici della “banda” del liceo Cassini tra cui Eugenio Scalfari, compagno di banco ritratto insieme a Italo in una celebre foto sulla panchina di Corso Imperatrice. C’è il bagno in mare vicino al relitto. C’è l’esperienza partigiana nelle vallate dell’entroterra, e poi c’è Torino, l’Einaudi, tutta la bibliografia calviniana, incontrata dal personaggio ferroviario nelle biblioteche in cui, durante il suo viaggio lungo una vita, sosta per aggiornarsi sul proprio creatore. 

Mentre gli anni trascorrono, come la Liguria, il bambino messosi in cammino diventa adulto: si ferma in alcune zone dove lavora, incontra persone, impara a nuotare, legge. Una vita che prosegue parallela a fianco a quella di Italo Calvino, quello vero, al quale arriva la voce del suo personaggio in viaggio sui binari, intento a cercare il suo autore. Del vagabondo gli parla per esempio Carlo Levi, uno dei personaggi forse più intensi del romanzo di Magliani. Disegnatore di isole, pittore, osservatore. Nella realtà Carlo Levi amava trascorrere il tempo estivo nella sua villa di Alassio, a mezza costa, dove spesso incontrava Italo Calvino: gli fece anche un ritratto, tra tanti quadri di natura e discussioni di editoria e letteratura. Nel romanzo di Magliani Levi incontra l’uomo ferroviario e, incuriosito, lo ospita, gli regala pomodori, sandali e un binocolo, strumento ottico con il quale inquadrare meglio le isole, i sogni, le visioni. E ancora l’uomo ferroviario incontrerà un traduttore, traghettatore di parole a Bergeggi, e un poeta che tiene i giornali sottobraccio, forse Giuseppe Conte? 

“Non è un romanzo ma una mappa”, dirà Magliani nella nota di chiusura, a proposito di questo suo romanzo che, oltre a mescolare i piani narrativi e a parlare di uno dei più grandi scrittori del Novecento, è anche “qualcosa di geografico”. La mappa di un sogno di Calvino: una storia che potrebbe essere scaturita dalle idee di Calvino, ma anche un sogno che dipinge, a suo modo, il grande scrittore. 

Il sogno di un sogno

Nel romanzo di Raymond Queneau I fiori blu ci sono due personaggi, Cidrolin e il Duca D’Auge, ciascuno dei quali sogna l’altro. Un altro che esiste, di conseguenza, soltanto nei sogni del personaggio letterario speculare e parallelo: due alter ego onirici insomma. Anche il bambino che si mette in marcia sui binari è un personaggio dello stesso tenore: un personaggio, appunto, pirandellianamente in cerca del suo autore. Vive in un mondo di inchiostro a forma di Liguria e pieno di isole, un mondo inventato da uno scrittore che condivide la sua città e ogni tanto torna a visitarla. Insegue, con questo viaggio immaginato a partire da una storia, il suo destino letterario e intuisce che si tratta di qualcosa di scritto, e quando cresce in lui il sospetto che sia tutto così, tutto vero, si mette a leggere in cerca di Italo Calvino. Come per Cidrolin e il Duca D’Auge, c’è la storia di un personaggio che insegue Calvino sui binari, mentre la biografia di Calvino accompagna, in parallelo, il vagabondo. 

Ma cosa accade per un personaggio che vive dentro una favola di Calvino, quando Calvino non c’è più ed è finita la Liguria? Lo strano rapporto tra realtà e invenzione letteraria al secondo grado (Calvino, ricordiamo, disse di voler scrivere il racconto del bambino e dei binari, ma non lo scrisse mai, è un gioco di Magliani) finisce per scollarsi: e se, invece di inseguire isole e binari, il vagabondo tornasse indietro, a Sanremo? “Capirà in seguito che i sogni non vanno inseguiti a tutti i costi, occorre mollarli subito, poi ci sembrerà tardi”, ma intanto gli anni sono trascorsi e la Liguria si è trasformata, non c’è nemmeno più la ferrovia, sostituita a Ponente dalla striscia di asfalto della pista ciclabile. È forse questa la fine dei binari? Svanisce così la rotta in un arcipelago sognato, disegnato, immaginato? E cosa sarà del bambino che, per non disobbedire alla madre, ha deciso di obbedire alla letteratura?

La prosa di Magliani, densa di poesia, lirica, struggente e insieme delicata, rilucente dei colori e delle fattezze del paesaggio ligure, trasforma i binari in carta, la loro corsa parallela in righe di inchiostro. Dove comincia uno e finisce l’altro, e perché dovremmo cercare forzatamente un confine se i piani sono mobili, cangianti, ambigui come dentro alla storia del Cavaliere inesistente? Miracoli della letteratura o, citando ancora Queneau, semplicemente una storia che è “il sogno di un sogno, l’ombra di un’ombra” e che per questo riesce con raffinatezza a raccontare la vita. 

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