Igiaba Scego, scrittrice italiana di origine somala, per Cassandra a Mogadiscio (368 pagine; 19 euro), il suo ultimo romanzo pubblicato dall’editore Bompiani, ha scelto l’atmosfera calda e intima di una lettera. Destinataria è Soraya, la giovane nipote che vive in Canada, figlia di uno dei suoi fratelli maggiori.

La forma epistolare, per via della sua inflessione confidenziale, le possibilità introspettive e, non da ultimo, la specifica duttilità del registro narrativo che asseconda l’estemporaneità dei moti umorali, è uno strumento dalle grandi potenzialità. L’autrice, che nella fase progettuale ha, naturalmente, ben focalizzato tale stato di cose, è riuscita, nel passaggio dal teorico al pratico, a metterle a frutto in maniera ineccepibile, scrivendo un romanzo bello, appassionante e soprattutto attuale.

Ponte, osservatorio, ricostruzione

Scego (nella foto di Simona Filippini) sa, dato l’avanzare dell’età di sua madre, che è arrivato il momento di raccogliere nero su bianco le memorie della capostipite per affidarle alla nipote, affinché nulla del patrimonio famigliare vada perduto.

Il monologo assolve, contemporaneamente, diverse funzioni. È, innanzitutto, un ponte teso a colmare la distanza – geografica e generazionale – che la separa da Soraya. È, poi, una sorta di osservatorio, dall’alto del quale la scrittrice esplora e valuta gli effetti della diaspora sui congiunti sparsi nel mondo, e tenta di interpretare, per metabolizzarli, i riverberi che lei stessa patisce in prima persona. È, infine, una ricostruzione della vicenda somala, coloniale e post-coloniale, immune da pedanterie didascaliche ma molto efficace e utile sotto il profilo divulgativo.

Somalia e colonialismo

Gli argomenti in scaletta sono tantissimi. Innanzitutto, c’è la Somalia, che impera nel racconto in una doppia accezione. Accanto alla Somalia degli assetti geopolitici della Storia (S maiuscola) mondiale, passata da essere colonia italiana del ventennio – dopo una breve parentesi di Repubblica indipendente – a scenario di terribili guerre civili, coesiste, infatti, la Somalia dei vissuti personali (qui la s di storia si ridimensiona, naturalmente, intendendo scendere alla sfera individuale), quella che è madrepatria negata e filamento genetico che unisce i separati, quella che è, ormai, il sogno infranto per la vecchia generazione della famiglia Scego, e unicamente una chimera onirica per i più giovani. Netto, in controluce, c’è, poi, il tema del colonialismo, che chiama in causa noi italiani, colpevoli, oltre che delle tante atrocità perpetrate “in corso d’opera”, di non aver mai voluto chiudere, dichiarando le nostre responsabilità, i conti con una brutta pagina del passato. C’è, infine, il jirro, la malattia, quella peculiare contrattura della psiche, quello sfregio che incide e sfigura irreparabilmente il profilo degli esuli. Una lesione incisa nel corpo e nell’animo da privazioni, fughe, fame, stupri e massacri vissuti durante le guerre.

Tra memorie e presente…

«Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui». Così sintetizzò Dante le separazioni, le nostalgie, i rimpianti, i rancori, le ristrettezze economiche, le umiliazioni, dei profughi, dei migranti, degli esiliati. Cassandra a Mogadiscio è una moderna testimonianza di questa antica afflizione. Moderna in quanto Igiaba Scego, attingendo alla sua sfera interiore, dalla quale estrae le memorie dei genitori, sedimentate spesso in maniera disorganica ed estemporanea così come apprese dalla loro viva voce, integra il loro jirro con le sue inquietudini di scrittrice nera in Italia. Racconta il razzismo, ad esempio, e le difficoltà di dover far coesistere l’amore per due patrie, due lingue (la madre e la nativa), due culture, delle quali nessuna potrà mai essere predominante. Racconta la complessità del precariato del suo lavoro intellettuale.

Niente sentimentalismi o retorica

Nella maggior parte dei casi, quelli trattati in Cassandra a Mogadiscio sono contenuti complessi. Bravissima Igiaba Scego ad incorporarli armoniosamente, stratificandoli in un romanzo che si fa apprezzare prima di tutto per l’accessibilità, quindi per la semplicità e la freschezza espressiva. La lettera è accorata, franca, accattivante. Fuggendo le trappole di sentimentalismi barocchi, di retorica compiaciuta o ridondante pateticità, conquista per la sincerità con la quale l’autrice si regala ai lettori.

È possibile ordinare questo e altri libri presso Dadabio, qui i contatti