Quel delitto nel convento e il talento di Cristina Biolcati…

Ben scritto, piacevole da leggere, in qualche modo ispirato da una vicenda storica: “In grazia di Dio” conferma il talento da giallista di Cristina Biolcati. L’atroce omicidio di una suora all’interno di un convento accende le pagine del romanzo, indagano un ufficiale della gendarmeria pontificia e un suo preposto…

Facciamo un gioco, prendiamo un convento, mettiamo che sia il Convento di San Giovanni a Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, scegliamo un anno, un giorno e un mese, immaginiamo che sia il 26 marzo 1822 e che nel convento, in quel preciso giorno, si trovino cinque monache, una di loro però, suor Teresa, è stata sgozzata nella notte, mentre l’ufficiale della gendarmeria pontificia, Alfredo Casadio, e il suo preposto, Dante Graziani, sono appena giunti da Ravenna, per indagare sull’omicidio della monaca.

La domanda ora è legittima: che storia è questa?, o meglio, che cosa stiamo leggendo?

L’ultimo romanzo breve di Cristina Biolcati, In grazia di Dio, un giallo storico edito, in formato ebook, da Todaro editore.

La pista interna

La storia è avvincente, una anziana monaca di clausura è stata uccisa nottetempo e giace riversa nella sua cella, in una pozza di sangue. Le indagini condotte sul campo dall’ufficiale Casadio e dal suo preposto Graziani non lasciano dubbi: l’omicida non è venuto da fuori, è sicuramente tra coloro che vivono e frequentano il convento, oltre alla badessa, suor Amabile, che di amabile sembra avere solo il nome, e alle tre monache cappuccine, ancora in vita, suor Primetta, suor Grazia e suor Diletta, ci sono Marcello, il tuttofare, e la moglie Marisa, maestra delle otto bambine, ospiti dell’Educandato che ha sede nel Convento.

La penna di Biolcati si muove precisa, sicura e, diremmo, decisamente felice, nel ricostruire ambienti, arredi, costumi e abitudini d’antan. Nulla, infatti, sfugge alla (sua) voce narrante, che tutto conosce e niente nasconde al lettore dell’epoca e del convento, in cui la storia è ambientata.

Un’atmosfera tetra

I personaggi sono bene caratterizzati, a cominciare dai due funzionari pontifici, Casadio, un uomo sulla quarantina, alto, magro, buon padre di famiglia, che sembra non comprendere appieno né condividere la vita che si svolge tra le mura del convento, e Graziani, un omaccione sulla sessantina, ancora scapolo, con la testa calva come una palla da biliardo, la cui possanza è spesso scambiata per sciatteria o pressappochismo, da tutti gli altri, però, non di certo da Casadio, che lo conosce bene e lo apprezza. Entrambi, preparati, meticolosi e acuti, si trovano in un discreto imbarazzo in quel sinistro convento, in cui, oltre al cadavere dell’anziana suor Teresa, all’olezzo del suo corpo e del suo sangue, aleggia un po’ dovunque un’atmosfera cupa, anzi, tetra. A dir la verità, anche le altre monache agli occhi dei due uomini risultano piuttosto sinistre: suor Primetta, l’addetta alla cucina, ha novant’anni, mani adunche, dita ingiallite, non sempre è lucida e presente a sé stessa e, a tal riguardo, Casadio non riesce proprio a spiegarsi come ci si possa fidare della sua cucina e non temere di esserne avvelenati; mentre suor Grazia, la più vigorosa, addetta all’ordine e alle pulizie, ha un viso scialbo, il naso adunco, gli occhi scuri, e non vede l’ora di ripulire la cella della vittima, chiusa al resto del mondo da quando suor Teresa vi ha iniziato la clausura, nella speranza di adibirla a sala di lettura; suor Diletta, invece, è sulla trentina, ha un bel viso, occhi verdi, bocca carnosa e a Casadio sembra proprio uno spreco che sia monaca in un convento.

Il finale spiazzante

I dialoghi sono vivaci, verosimili, ben articolati.

L’indagine è meticolosa, incalzante, serrata: Casadio e Graziani vogliono smascherare quanto prima il colpevole, per lasciare il convento e fare ritorno, entro breve, a Ravenna.

Accade così che, pur in assenza di prove, grazie a un caso fortuito e a un’intuizione felice di Casadio, i due funzionari pontifici riescano a ordire un tranello e a incastrare l’assassino.

Tuttavia, non staremmo leggendo un giallo se il finale non fosse a sorpresa e spiazzasse il lettore.

Non ci sono dubbi, questo è un bel romanzo, ben scritto, molto piacevole alla lettura. È dunque una conferma del talento e della bravura di Cristina Biolcati, ma non solo, infatti, attraverso questo testo, possiamo anche conoscere e apprezzare la sua sensibilità, poiché la vicenda che l’ha ispirata, cui è anche dedicato il romanzo, riguarda la piccola Allegra Byron, figlia dell’illustre poeta che, nel 1821, affidò la bambina alle cure e all’educazione delle monache del Convento di San Giovanni, dove, a soli cinque anni, poco più di un anno dopo, il 20 aprile 1822, Allegra morì.

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