Maria Messina e l’impeto delle signorine di provincia

Tutte condannate a stare a casa e a non studiare, ad attendere il matrimonio come unica possibilità di realizzazione e allontanamento dall’ombra paterna. Sono le protagoniste di “Ragazze siciliane” di Maria Messina, che però sconfiggono il medioevo della provincia, sanno reagire al destino di quei tempi…

Ragazze siciliane di Maria Messina, per i tipi di Lunaria, con illustrazioni di Chiara Ciccarello e la prefazione di Marinella Fiume, una sorta di piccolo saggio Le bambole non vanno in paradiso, ripropone gli otto racconti e il Congedo, un paratesto firmato dalla stessa autrice. Pubblicati per la prima volta oltre un secolo fa, nel 1921, per la casa editrice fiorentina Le Monnier, furono ripubblicati da Sellerio nel 1997, dopo oltre mezzo secolo di oblio per la grande scrittrice, grazie alla riscoperta di Leonardo Sciascia che in un piccolo saggio, del 1981, che si può trovare nella raccolta Per un ritratto dello scrittore da giovane per Adelphi, definisce la Messina, una sorta di Katherine Mansfield siciliana, coeva della stessa, benchè sconosciute l’una all’altra. Nel 2020, quasi un secolo dopo la prima pubblicazione, le edizioni Croce hanno ristampato tutte novelle della scrittrice siciliana.

Apprezzata da Borgese e Verga

Si tratta di un’autrice di grande spessore che come dice la Fiume merita un posto accanto ai classici del Novecento. Forse all’oblio a cui è stata a lungo relegata contribuì il periodo in cui visse, la malattia, affetta da sclerosi e poi la guerra, lo sfollamento. Morì a Masiano, nel Pistoiese, insieme alle sue carte, andate distrutte. Tuttavia, la nipote Annie, pittrice e scrittrice anch’ella, figlia dell’unico fratello, Salvatore, racconta che la zia era in contatto coi maggiori esponenti del mondo letterario dell’epoca ed era stimata ed ammirata. Infatti, la Messina si fa subito notare da Antonio Borgese, già affermato critico e col quale condivide le origini madonite, poiché la famiglia paterna di Maria Messina era di Alimena, paesino delle alte Madonie come Polizzi Generosa, cittadina natale di Borgese. Il critico, inizialmente la considerava una scolara di Verga, ma ne scorge “un temperamento tra i più attraenti della nostra letteratura femminile”. Ben presto la scrittrice si affranca dal Grande Catanese, col quale aveva intrapreso un carteggio, chiamandolo inizialmente “Illustre Signor Verga”, poi “Illustre amatissimo Maestro”, fino a “Mio grande buon amico”, a significare un rapporto che da estranea ammiratrice diviene sodalizio letterario, di comuni intenti e condivisione narrativa della realtà cui gli scrittori venivano chiamati a testimoniare.

Dimenticata troppo a lungo

Ad attestare il grande valore letterario della scrittrice, sono le autorevoli case editrici che la pubblicano, quali Sandron, Bemporad e la milanese Treves, che già ospitava gli scritti di Luigi Pirandello e di Matilde Serao. Marinella Fiume, grande valorizzatrice della Messina, scrive, nel saggio di prefazione, che proprio la Treves, ripubblicò il romanzo La casa nel vicolo, già uscito a puntate sulla “Nuova Antologia”, nel 1920, stampandolo con una tiratura di tremila copie, ovvero una cifra notevole se si pensa che già cinquecento copie rappresentavano un numero di tutto rispetto, per quell’epoca. Tuttavia, benché il talento di Maria Messina fosse più che evidente e la sua scrittura potente nel descrivere la realtà piccolo borghese di provincia e il mondo delle donne, ella, per oltre un cinquantennio, è stata dimenticata.

Vittime ma libere

Nella sua narrazione della vita delle ragazze o meglio signorine, come lei stessa precisa nel Congedo che firma a chiusura di Ragazze siciliane, fa emergere l’animo forte delle donne di provincia, di quell’epoca, condannate ad una vita di delusioni, reclusioni e rinunce, vittime di un destino irredimibile, ma pur sempre libere e capaci di affermare la loro scelta e di avere l’animo libero, perché mai dato a chi le ha ferite, deluse e abbandonate. Le protagoniste di Ragazze siciliane, hanno in sé un impeto forte di libertà e liberazione. Così dice Camilla, abbandonata dopo tre anni di amore e schiavitù: «Sì penso a te, a te solo. Ma l’anima non te l’ho data». Sono, in fondo, eroine che seppelliscono con la scelta, il destino crudele, con la gioia dell’anima che sovrasta la realtà amara alla quale sono condannate a vivere, rendendo libera chi continua a vivere oltre le delusioni, sconfiggendo il medioevo della provincia, con l’animo forte proiettato verso gli altri e verso la vita stessa.

Queste le parole dell’autrice, tratte dal Congedo:

Pure nella loro sorte c’è sempre un bel raggio di sole: perché ciascuna di queste ragazze -che il piacere non ha deluse col riso falso delle sue labbra dipinte- crede a “qualche cosa” e vuole aiutare qualcuno. E chi crede all’utilità del suo lavoro o alle parole di chi l’ama, chi rimpiange la felicità perduta per sua colpa o chi ricorda una cara creatura sparita- ciascuna esce talora dal cerchio della vita, per entrare, sola e non vista, nel piccolo mondo spirituale che custodisce, intatte, le forze più fresche le aspirazioni più nobili della sua femminilità.

Ostacoli e forza d’animo

Ma chi sono le protagoniste di Ragazze siciliane? Sono figlie di poveri impiegati e piccoli proprietari di provincia e, tra di esse, una figlia di contadini. Tutte condannate a stare a casa, a non studiare perché non era costume ricevere l’istruzione, per le nate femmine, come veniva detto a Pidda, la protagonista de Il pozzo e il professore, dai suoi genitori “una ragazze si deve tagliare le mani prima di scrivere i suoi pensieri”. Per le donne di quell’epoca era naturale non andare a scuola e aspettare il matrimonio come l’unico momento per la loro realizzazione e per uscire dalla casa paterna. Pertanto, le altre protagoniste che si incontrano, rimanendo colpite dalla loro forza d’animo, sono Bobò, di Rose rosse, Pidda, de Il pozzo e il professore, Camilla, le tre sorelle Marianna, Angela e Bettina, protagoniste di Mandorle, Luciuzza, Caterina, le ragazze Sofia, Carmelina e Lucietta che fanno a gara per conquistare il forestiero, protagoniste de L’ideale infranto e Marina, protagonista de La veste color caffè.

Sfatato un luogo comune

Un filo rosso le lega tutte, nel dolore e nell’affermazione di sé, contro il costume del tempo che vuole la donna sottomessa alle regole della famiglia patriarcale, al luogo comune della donna che non deve essere istruita, ma ignorante e asservita al capofamiglia, padre o marito padrone. Maria Messina, sfata un mito non indifferente. Le sue ragazze siciliane sanno reagire e sopravvivere libere, al destino tipico della società dei tempi, in provincia ed oltre. Naturalmente la scrittrice narra le situazioni che ben vede e osserva, nei luoghi della sua infanzia e della sua giovinezza, con occhio e cuore sensibili, attenti e soprattutto intelligenti e intellegibili. Un grande peccato avere perso questa scrittrice, troppo presto, ma per fortuna riscoperta grazie al Maestro di Racalmuto, prima del finire del Novecento. Ogni novella o racconto è corredata da una e in certi casi, più illustrazioni di Chiara Ciccarello, le quali rendono perfettamente il profilo umano e spirituale delle protoganiste, facendo rivivere al lettore la realtà che si legge, dalla penna dell’immortale Maria Messina.

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2 pensieri su “Maria Messina e l’impeto delle signorine di provincia

  1. Giusi dice:

    Mirella Mascellino,donna dall’animo sensibile e delicato…il suo sorriso è presente e si fonde tra la speranza di un mondo spontaneo e solidale e una certezza di equilibrio .Abbiamo bisogno di animi puri e generosi e lei è un testimone eloquente e silenzioso.La sua presentazione è simile al suo sorriso.

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