I soldati di Sinigaglia, comunità omosociale fra eros e ironia

Sono spassosi e imprevedibili i racconti de “L’amore al fiume (e altri amori corti)” di Ezio Sinigaglia. Un narratore olimpicamente onnisciente, distaccato, ariostesco, divertito, e storie che vanno dall’amor panico, faunesco e omosessuale al porno-grottesco…

Dei circa quattrocento soldati di leva acquartierati in un bosco per alcune settimane di esercitazioni, Ezio Sinigaglia sceglie di seguirne una decina per regalarci, con l’ironia e la grazia cui ha abituato i suoi lettori, le sei intense storie, talvolta spassose e spesso imprevedibili, di L’amore al fiume (e altri amori corti) (180 pagine, 16 euro), Wojteck 2023.

Un pomeriggio di giugno

La caserma di appartenenza si trova in Friuli, a Tricesimo, mentre la zona in cui il battaglione Crimea si è accampato resta priva dell’indicazione del vicino borgo con bar-trattoria. È il sabato di un pomeriggio di giugno di cui non conosciamo la data, collocabile negli anni Settanta, o subito dopo, dai riferimenti materiali (il telefono a gettoni, i fumetti pornografici, i fotoromanzi) che emergono dal secondo dei racconti in poi, così come per l’uso dei dialetti nel discorso diretto, oltre all’italiano. Con l’eccezione di quello iniziale, i racconti costituiscono una sorta di sequenza continua di narrazioni, legate dalla successione temporale (troviamo gli orari che scandiscono alcuni avvenimenti) o spaziale nel caso di vicende simultanee (esterni o interni contigui di uno stesso luogo) oppure da personaggi che, o appena citati o già definiti, rientrano in scena per cucire le storie fra loro, il che può accadere anche attraverso un fumetto porno. Il primo racconto sembra invece non contenere alcun rimando a personaggi, esperienze, oggetti del resto della raccolta, né d’altra parte i nomi dei protagonisti sono citati in seguito né vi si fa cenno neppure obliquamente. Si può pensare quindi che i due segmenti del titolo non siano (o non siano solo) un vezzo dell’autore, ma segnalino una sottile, effettiva suddivisione formale tra L’amore al fiume e gli altri amori corti, pur all’interno dell’unità tematico-stilistica della raccolta. Tutte le vicende si svolgono nello stesso, solstiziale pomeriggio del sabato di giugno cui si è accennato, all’incirca fra le 14,30 del primo racconto e le 18,30 o poco oltre dell’ultimo, e hanno l’eros come tema comune e motore dell’agire dei personaggi. Un eros tutto al maschile in una comunità omosociale qual è quella di un battaglione di giovani in servizio di leva, e tuttavia un eros agito, fantasticato, scoperto in maniera differente, spesso inaspettata, sempre filtrato dallo sguardo ilare della voce narrante.

Un’iniziazione

Il racconto iniziale, il più esteso e più denso, porta il lettore sulle rive ghiaiose di un fiume in un ambiente rupestre, tra le felci e le ombre di una vegetazione spontanea, lungo i sentieri scoscesi del bosco nel pomeriggio estivo appena iniziato. Si direbbero luogo e tempo ideali per l’apparizione di Pan, divinità in grado di suscitare il timor panico e spesso raffigurato in erezione (come le analoghe figure dei Fauni) alla ricerca sfrenata di rapporti sessuali. L’amore al fiume è il racconto di una iniziazione omosessuale, di un eros tutto corporeo e fisico, dove nulla resta taciuto e dove strategie e rapporti di forza – come già ne L’imitazion del vero – devono adattarsi a continui mutamenti per giungere infine a una conferma liberatoria, ricca di pathos: “Te vojo bene!” grida disperato il feroce Giancrì. L’ultima indicazione oraria riportata, le cinque e diciotto, si trova a sei capitoli dalla conclusione, che si potrebbe quindi ipotizzare avvenuta attorno alle diciotto. Termina allora il pomeriggio faunesco e panico dei due bersaglieri Zanella Mao e Cecconi Giancrì, di cui non sapremo più nulla né del loro amore, corto alla stregua di tutti gli altri.

Contemplazione, conversazione

La durata delle vicende nel racconto iniziale è pressoché sovrapponibile a quella del gruppo degli altri amori corti, che si avvia col racconto La pièce quando mancano pochi minuti alle quattro; ma in realtà nei tre quarti d’ora antecedenti, durante i quali l’innocuamente ebete bersagliere Barigozzi si è dato alla rilettura di La dottoressa dei pompieri. Alle quattro, appunto, il protagonista inizia ad allestire la messinscena immaginaria di una nuova puntata del fumetto pornografico, interpretandone ogni personaggio. Un racconto in cui l’eros si declina nella dimensione fantasmatica, allucinatoria della pièce del protagonista, o in quella onirica del tenente Ranieri. L’eros diventa contemplazione estetica nel successivo Il ritratto, che l’allievo ufficiale Massei chiede di fare al bersagliere Berger, attirato dalle emozioni affiorate nei suoi occhi (e forse legate al fumetto di prima). In Il regalo, nel corso di un’estenuante conversazione, Barigozzi e il commilitone Bernasconi acquisiscono la consapevolezza di essersi innamorati: il primo di Ranieri, al quale vorrebbe fare un regalo, e l’angelico Bernasconi del taciturno Iannopulo. Un eros mediato dalla riflessione, che coincide con la rivelazione a sé stessi dei propri sentimenti e in cui l’attrazione sessuale si stempera nel bisogno di riconoscimento dell’altro. Il telefono del quinto racconto è quello a gettoni da cui chiamano le rispettive fidanzate il sottotenente De Nardis e soprattutto il bersagliere (con tutta probabilità) calabrese Iannopulo: l’amore da lontano, l’eros messo alla prova dagli oltre mille chilometri di distanza. E Il bacio infine, poco dopo le sei e ventiquattro, è quello che per la prima volta Iannopulo dà a Bernasconi per conto della fidanzata, seguito dagli altri, dati motuproprio: un eros castamente platonico, scrive il narratore. Come se negli altri amori corti, col trascorrere delle ore, l’eros tutto sessuale della pièce (peraltro non consumato, se non in solitaria) si sia andato via via spiritualizzando, interiorizzando, abbia acquisito una componente più sentimentale, affettiva, quella infine di chi cerca un punto di riferimento umano nell’ingranaggio spersonalizzante della caserma.

Le stradine del bosco

Ma, significativamente, anche in L’amore al fiume c’è con l’avanzare del pomeriggio un’evoluzione dei protagonisti e del loro rapporto in direzione affettivo-sentimentale, per quanto sempre all’interno della dimensione corporea e sessuale dell’eros, che rimane predominante. Il pomeriggio della controra può essere panico, faunesco e omosessuale solo in una natura incontaminata, non toccata dalle norme sociali della presenza umana e, più che mai, al riparo dalle artificiose convenzioni militari e dalle gerarchie che perdurano intatte nella piazzetta del paesino e negli spazi ibridi dell’accampamento: l’infermeria, il posto di guardia… Tutti i personaggi degli altri amori si inoltrano nelle stradine del bosco quando vogliono parlare in libertà di sé, dei propri sentimenti, camminare abbracciati o baciarsi. Il lato forzatamente clandestino, tormentato, del sentire e vivere l’eros omosessuale negli omofobici anni Settanta (e Ottanta) rimane sottinteso, implicito. Emerge solo nel racconto iniziale: nello scaltro mimetismo di Zanella, consapevole delle pesanti conseguenze che può comportare la designazione pubblica di appartenente alla categoria; e nelle ingenue e al tempo stesso ingegnose autogiustificazioni di Cecconi. È da questo sottofondo di rischio, celato nel tessuto ludico e scintillante del testo, che gli amori raccontati acquistano senso e rilievo.

Ironia e oltre…

Se eros e ironia caratterizzano tutti i racconti, col minus habens bersagliere Barigozzi ci troviamo invece davanti a un autentico personaggio comico: una portentosa antitesi tra corpo (è soprannominato Maciste) e capacità intellettive pressoché infantili, che incarna, in senso materiale, tutti i personaggi al punto da nutrire dubbi sulla propria identità. Fra pirandelliana e buzzatiana appare poi l’introduzione nella pièce del riluttante medico Ranieri, sbalzato dal felice sogno erotico nella propria tenda agli imprevisti molto concreti della porno-trama di Maciste. Quasi un esilarante meta-racconto, in diretta, di erotismo porno-grottesco. Altra figura comica, nel testo successivo, è il caporale Baldini: colto in fallo durante il suo turno di guardia a sfogliare una pubblicazione della serie Poppea dall’allievo ufficiale Massei, ne subisce con imbarazzo il flemmatico sadismo verbale e l’ambigua gestualità. Massei è una figura netta e sfuggente al tempo stesso, una sorta di dandy dall’intelligenza affilata e consapevole, attraverso cui ci viene presentato sulla vita militare uno sguardo distaccato, cinico, (forse) compassionevole nel suo paternalismo: tutti i soldati, non solo Berger (verso cui il suo sadismo è però accomodante, benevolo), sono bambini… bambinoni… piccini… fanciulli, e le esercitazioni a fuoco diventano gioconi e fare bum-bum. Se dovessi ipotizzare un punto di vista della voce narrante, azzarderei che sia questo; già in parte, peraltro, preannunciato en passant nel primo racconto: “…dal quale [strepito della cascata] l’aria è costantemente scossa e ferita come dagli scoppi dei giochi di guerra dei bersaglieri in missione”. Il lettore non faticherà a trovare altri esempi della disposizione giocosa dell’autore al di là dell’ambito strettamente erotico: mi limito a segnalare, sempre in Il ritratto, il dialogo sulla corretta pronuncia fra l’italiano tedeschizzato di Berger e il fiorentino di Baldini, e in Il regalo la lunga conversazione, volatile e sfalsata, tra Maciste e l’angelico Bernasconi, che richiama certi vecchi siparietti spiazzanti di Macario o dei fratelli De Rege. 

Fottere

Il connubio erotismo-comicità emerge soprattutto in L’amore al fiume, articolato narrativamente in una sorta di botta e risposta, di azione e reazione, tipico di alcune novelle boccacciane, in cui però a scambiarsi in seguito i ruoli qui non troviamo la coppia beffatore-beffato, ma la sua variante maestro-novizio. Terminata la parte in cui i protagonisti hanno perseguito e raggiunto per la prima volta il comune e convergente obiettivo, quella successiva si avvia con la frettolosa uscita di scena di Zanella. Sulle tracce dello scafatissimo dongiovanni, parte all’inseguimento il sedotto e abbandonato, nonché dolorante Cecconi, alla ricerca di un bis o comunque di un accordo per incontri futuri. Un’articolata seconda parte che conduce all’inatteso capovolgimento-coinvolgimento totale, espresso da uno Zanella in lacrime, il quale chiude la narrazione nella duplicità semantica del verbo fottere, presente anche prima (pure in espressioni sinonimiche) e più volte nelle parole di Cecconi.   

Stereotipi scombinati

Si tratta di un testo la cui felice commistione di comicità ed erotismo lo situa, con voce tutta novecentesca, nel solco di esempi della letteratura italiana, dai novellieri tre-cinquecenteschi in poi, di quella greco-latina (le fabulae milesiae, alcuni inserti “novellistici” in Luciano, Petronio, Apuleio…) e da questi agli ottocenteschi Neoplatonici di Luigi Settembrini, di certo noti all’autore. Si resta sorpresi dall’ironia, ora sorniona ora esplicita, con cui Sinigaglia si diletta, ad esempio, a scombinare qualche stereotipo. A partire dal ruolo sessuale faunesco-insertivo assegnato al bersagliere Zanella (cognome “al femminile”, che sonoramente rimanda ad un diminutivo-vezzeggiativo): bellezza efebica, sorriso incantevole e grazia irresistibile, gambe levigate, che si esprime in corretto italiano, e che è però un seduttore seriale, dotato di un’appendice anatomica del tutto fuor del comune, la cui scoperta innesca nell’altro un bizzarro meccanismo emulativo. Di contro, il complementare ruolo iniziatico-ricettivo è affidato al bersagliere Cecconi (cognome che rimanda di primo acchito a un generico accrescitivo, senza escludere quello potenziale di Checca), il peggior soggetto di tutto il battaglione, ladro, violento, veloce di coltello, che parla solo in romanesco, dalla psicologia barbarica, le gambe pelose (come Pan), bicipiti e fisico scultorei, anche lui ben messo quanto ad appendice, ma, come riconosce egli stesso, non paragonabile a. È soprattutto ai pensieri e alle frasi di Cecconi (il reale protagonista) che è affidato l’effetto comico di una personalità sorprendente per le reazioni a quanto va scoprendo di sé di volta in volta, “Embè, ahò, li mortà: e se nun me piasceva, ched era? mejo?”, prima di giungere a una nuova, piena consapevolezza. Oltre all’enfasi sulle dimensioni, anche i commenti e, in misura maggiore, gli incitamenti durante il rapporto sessuale si presentano come parodia del linguaggio di riviste, film o fumetti porno. La voce narrante vi aggiunge di suo, al di là del lessico dei personaggi (fra cui un cinematografico Mò tte magno, e un Er paradiso! eco del Decameron pasoliniano), ammicchi storici a proposito di Mao, le riprese formulari sui loro nomi, un’analisi della condizione emotiva di Cecconi che riecheggia due versi di Un giudice di Fabrizio De André sull’ubicazione del cuore (che poi, mutatis mutandis, è la condizione di ogni giovane, di qualunque genere e orientamento, allorché scopre la potenza panica e dionisiaca della relazione sessuale). La voce che racconta ciò che accade, in grado di confidarci un antefatto o di preannunciare un imminente sviluppo, in grado soprattutto di accedere alla mente e al cuore dei protagonisti, è quella di un narratore olimpicamente onnisciente, distaccato, ariostesco, che non credo si sia posto come obiettivo di ricostruire autobiograficamente o sociologicamente alcunché, se mai di farlo esistere per la prima volta fuori di sé attraverso la creazione letteraria. Un narratore divertito dal mondo della propria fabulazione e delle sue creature: condizione indispensabile – insieme alla padronanza di una lingua che gioca su più fronti contemporaneamente – per poter divertire a sua volta i lettori in maniera mai corriva o banale.

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