Boarelli, stop al merito incrostato di ideologia e mistificazione

Nel saggio “Contro l’ideologia del merito” Mauro Boarelli punta il dito contro una scuola fondata sul merito, azienda di servizi formativi che declina il successo in termini professionali ed economici; diventa un’istituzione improntata su individualismo e competizione, che scoraggia la solidarietà e genera disuguaglianze economiche, culturali e sociali, offrendo apparentemente a tutti le stesse opportunità

Uno spettro si aggira nella Scuola della globalizzazione ed è l’ideologia del merito; in Italia non più mano invisibile operante nel sistema scolastico, ma emersa dalle acque torbide della strumentalizzazione politica delle masse a partire dal 4 novembre del 2022, quando con la formazione del governo Meloni, il Ministero dell’Istruzione è stato ridenominato Ministero dell’istruzione e del Merito (MIM).

Si è trattato di una scelta di natura puramente retorico-propagandistica, dell’esigenza pubblicitaria della squadra di governo di presentarsi come restauratrice di ordine, efficienza o invece di un chiaro indirizzo politico rispondente all’ideologia liberista di mercato che permea la società e la consegna a rapporti aziendali alienanti e antisociali improntati a cinico individualismo, disaggregazione e sfrenata competizione?

Ripulire…

Come sostiene Mauro Boarelli in Contro l’ideologia del merito (140 pagine, 14 euro) edito da Laterza «le parole non sono mai neutrali», hanno un potere performativo, ed entriamo perciò nell’ambito della filosofia scolastica, nella questione degli universalia, nella relazione cioè tra i nomi e le cose; il linguaggio politico è spesso capzioso, adombra fini antidemocratici inscenando l’illusione di false promesse. Il saggio di Boarelli nasce dunque dalla necessità di interrogare la parola “merito” per ripulirla da incrostazioni mistificatorie e restituirle il vero significato che si è rivelato e tradotto in questi ultimi decenni nella forza di indirizzare e plasmare uomini, idee, valori, programmi, società.

Il termine infatti esercita potere ideologico; inserito all’interno di una trama semantica di vocaboli mutuati dal campo economico ha invaso istituzioni, apparati pubblici e statali, come la scuola, l’università, la sanità, la pubblica amministrazione, fino a penetrare con pervasività atomizzante nei singoli individui, uomini e donne ad una dimensione, resilienti e ormai defraudati del loro spirito critico.

Non studenti ma individui-impresari

Una scuola fondata sul merito, spiega Boarelli, è un’azienda di servizi formativi che demanda a tutti suoi “utenti” – studenti la responsabilità di meritare il proprio successo declinato in termini meramente professionali ed economici, il proprio futuro sottraendolo al campo d’azione della politica e dei diritti, di essere cioè individui-impresari di se stessi fornendo loro, secondo i principi dell’uguaglianza delle opportunità, un pacchetto di conoscenze, abilità, competenze strumentali, che vanno a costituire il capitale umano, quantificabile secondo criteri standardizzati di valutazione apparentemente oggettivi in realtà imposti arbitrariamente da enti decisionali (dirigente, agenzia di valutazione, comitato tecnico, società di consulenza) privi di alcuna legittimazione pubblica. Un capitale umano condannato dalla tirannia delle competenze per eccellenza, “competenza all’imprenditorialità” e “imparare ad imparare”, ad essere flessibile, magmatico, liquido, alienato mai umanamente definibile, ad adattarsi all’evoluzione delle nuove tecnologie.

L’unica illusione

Al securitarismo dei confini, unica illusione di “ordine”, garanzie e certezze prospettata agli “immeritevoli” in cambio degli insuccessi e delle frustrazioni personali, la propaganda politica sovranista assicura, con incoerenza ideologica, la permeabilità del limes identitario, la precarietà di chi deve scegliere se e come reinventarsi nei gangli della produzione per restare a galla del successo o se curare i sensi di colpa dei propri fallimenti affidandosi alle cure di esperti prezzolati della psiche che medicalizzano l’ “inettitudine” e somministrano iniezioni metaforiche per ammansire le vittime che l’ideologia del merito genera, disinnescare rivendicazioni, tensioni, conflitti sociali, sottraendo così alla sociologia i suoi argomenti, alla politica i suoi doveri, ai cittadini i loro diritti.

Una gara truccata

La scuola che premia il merito, è una scuola antidemocratica in profondo contrasto con la concezione di educazione attiva di Dewey; riconosce e promuove solo i meritevoli, i talenti che possono ambire al successo; è improntata su individualismo e competizione; scoraggia la solidarietà come collante sociale ed argine alle ingiustizie; genera disuguaglianze economiche, culturali e sociali; e lo fa offrendo apparentemente a tutti le stesse opportunità. Quali? Cosi Boarelli: “tutti possono gareggiare nella competizione per avere successo nella vita, nessuno ne è formalmente escluso a causa delle sue origini sociali, ma la gara è truccata perché le condizioni di partenza sono disuguali e i sostenitori del merito non si preoccupano di rimuovere gli ostacoli che danno origine a questa disparità” (p. 107), così come previsto invece dall’art. 3 della nostra Costituzione; è una scuola che promuove saperi tecnici, strumentali acritici e omogeneizzanti attraverso “un approccio per competenze” che “si basa su un’adesione alla realtà esistente come se questa possedesse una razionalità propria. Non si propone di sottoporla ad una lettura critica, tanto meno di cambiarla” (pag. 25)

Ripartire dai banchi

Se questa è la nuova non buona della Buona scuola, scuola meritocratica del fare, Che fare? Se ottiene consensi di studenti, genitori, docenti, dirigenti e pedagogisti?  Bisogna ripartire dai banchi, da questi risalire alle parole, dalle parole alle contaminazioni ideologiche del potere che esse veicolano; perché è nelle parole, nell’uso apatico, inconsapevole di esse, imposto consapevolmente dall’alto, che si annida il rischio di una resa incondizionata della veglia culturale, pedagogica e democratica alla deregolamentazione oscura, immorale del mercato.

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