Tomasi di Lampedusa, i Nebrodi tra i luoghi del Gattopardo

Nuova edizione per il saggio di Maria Antonietta Ferraloro, “Tomasi di Lampedusa e i luoghi del Gattopardo”, con un’inedita conversazione fra l’autrice e Gioacchino Lanza Tomasi, figlio adottivo dello scrittore. Un libro che ridisegna la «cartografia gattopardiana» grazie a un paesino del messinese, dove Tomasi trascorse alcuni mesi nell’estate 1943

Un romanzo favoleggiato per due decenni, un percorso personale di problemi di salute, «un’inclinazione naturale all’arte della fuga», e un prodigio che si concretizza. C’è un nobile siciliano – che sembra uno dei tanti inetti del ventesimo secolo – molto erudito e ancor più appartato e introverso che, negli anni Cinquanta, solleva onde nel lago della letteratura italiana, da scrittore postumo, morto indigente dopo, essere cresciuto in un ambiente aristocratico. Il suo nome è Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Se l’arte della dissimulazione, quel bisogno impellente che aveva dentro di sé, di tenersi distante dagli altri e dalle ferite che possono infliggergli, hanno fatto di quest’uomo uno di quegli scipiti fantasmi senza qualità e voglie che affollano le pagine di tanti capolavori della letteratura del Novecento, la scrittura riuscirà a svelare l’inganno.
Il vero Tomasi abita le sue opere.
Ed è lì, laddove l’uomo invisibile cede il passo a un autore dalla voce possente, che bisogna cercarlo.

Anni di lavoro

Oltre che nelle sue opere l’anima della scrittura di Tomasi di Lampedusa va rintracciata anche nei luoghi della sua esistenza. Lo chiarisce bene una esaustiva monografia di Maria Antonietta Ferraloro, Tomasi di Lampedusa e i luoghi del Gattopardo (230 pagine, 20 euro), che torna in libreria a distanza di nove anni dalla prima volta, grazie all’editore Pacini. Si tratta di uno dei migliori volumi degli ultimi anni su Tomasi di Lampedusa, assieme a Il principe fulvo (Sellerio) di Salvatore Silvano Nigro. La nuova edizione è arricchita, oltre che da un maggior numero di foto, da una conversazione inedita tra l’autrice e Gioacchino Lanza Tomasi, figlio adottivo dello scrittore, scomparso nel maggio 2023. L’amore e lo studio di Maria Antonietta Ferraloro per l’autore de Il Gattopardo ha radici lontane, affonda nei suoi ricordi scolastici e, dopo anni e anni di lavoro, ha portato a una tesi di dottorato, trasformatasi in un libro che, in questi anni, ha rappresentato un punto di riferimento.

Pesce fuor d’acqua

Tomasi di Lampedusa è un pesce fuor d’acqua rispetto alla società letteraria italiana del tempo e non solo, e questo saggio lo ribadisce con misura, ma con fermezza. Il suo orizzonte culturale di riferimento è europeo, vicino alle istanze del modernismo inglese, da Virginia Woolf a James Joyce. E, infatti, la sua apparizione non fu compresa da gran parte della critica (con le eccezioni di Montale e Bo): «La comunità letteraria – scrive con mirabile sintesi Maria Antonietta Ferraloro – era troppo concentrata a dividere le sue attenzioni tra gli ultimi epigoni di un tardo realismo e gli echi scomposti dello sperimentalismo neoavanguardista nostrano».

Ficarra

La «cartografia gattopardiana» è molto più complessa di quella riconosciuta classicamente e unanimemente. Maria Antonietta Ferraloro ha aggiunto un tassello tutt’altro che marginale, perché a Ficarra, piccolo centro dei Nebrodi non distante da Capo d’Orlando e da Villa Piccolo (residenza dei geniali cugini di Tomasi di Lampedusa), il principe e futuro scrittore soggiornò qualche mese, sfollato da Palermo, che era nel mirino dei bombardamenti nell’estate 1943. A Ficarra, dove la saggista ha vissuto fino all’adolescenza, si era spinto quasi sessant’anni fa anche Leonardo Sciascia, proprio interessato ai luoghi di Tomasi di Lampedusa, anche se la sua iniziativa non aveva trovato riscontri. Quelli che ha invece rinvenuto Maria Antonietta Ferraloro, con un’indagine, scrupolosa e meticolosa, che trascende le pagine e si intreccia con testimoni diretti del passaggio dello scrittore a Ficarra. Come Pietro Ferraloro, già docente, che ricorda il ritrovamento del cadavere di un militare tedesco. Non una semplice coincidenza, ma la conferma, aderente su più punti, di una mutuazione di quell’episodio nel plot del romanzo di Tomasi di Lampedusa: don Fabrizio, il principe di Salina, ricorderà il corpo senza vita di un soldato borbonico seppellito male, vicino a un albero di limone dei propri possedimenti.

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