Le ossessioni di von Neumann, genio visionario e controverso

Ananyo Bhattacharya, tra le pagine de “L’uomo venuto dal futuro. La vita visionaria di John von Neumann” riesce a tenere alta la tensione, nonostante la natura ostica degli argomenti scientifici trattati. Senza disdegnare guerra e soluzioni tutt’altro che indolori, John von Neumann ha dato da pioniere il proprio contributo alla bomba atomica, alla teoria dei giochi e all’informatica, a processi evolutivi con obiettivi a lungo termine, che non mantengono la purezza dell’intento iniziale…

Sia che siate tra i nostalgici estimatori di un’era precedente, quelli del “dove andremo a finire”, sia che benediciate ogni giorno il tablet che allungate a vostro figlio e che vi consente di mangiare in pace al ristorante, sappiate che in entrambi i casi John von Neumann è il vostro uomo. Non un semplice capro espiatorio, ma il pioniere vero e proprio di questa era digitale moderna… e di molto altro.

Pare che agli inizi del XX secolo l’Ungheria abbia sfornato una serie di “marziani” dall’intelligenza sovrumana (la maggior parte di origine ebraica) che misero al servizio dell’umanità il loro acume fenomenale, dal quale provengono tutte le principali scoperte di cui oggi disponiamo. Tra questi spiccò per intelletto sopraffino Neumann János Lajos, poi americanizzatosi in John von Neumann, e che con un giochino fonetico-semantico potremmo ribattezzare “newman”, uomo nuovo. Insieme ad un team di scienziati cervelloni, negli anni ’40 si rinchiuse in un centro di ricerca (divenuto in breve una vera e proprio cittadina) nel deserto degli Stati Uniti, dove tra una partita a carte e festicciole notturne in cui il tasso alcolico superava di gran lunga quello dei QI, si lavorava ad una delle più potenti armi di distruzione di massa: la bomba atomica.

Abbiamo già fatto le presentazioni iniziali con von Neumann grazie al libro Maniac di Benjamin Labatut, che può essere considerato una versione romanzata di ciò che ci appresteremo a leggere ne L’uomo venuto dal futuro. La vita visionaria di John von Neumann (447 pagine, 30 euro), tradotto da Luigi Civaleri per Adelphi, in cui la linea tra biografia e documentario cartaceo è sottilissima, tanto quanto l’abilità del suo autore, Ananyo Bhattacharya, di mantenere alta l’attenzione e vivo l’interesse creando suspense e fame di proseguire la lettura, nonostante la natura scientifica degli argomenti trattati possa sembrare a tratti ostica.

Con una rapida e puntuale capacità espositiva, si avvicendano spiegazioni dettagliate sulla fisica quantistica ad aneddoti più disparati sulla vita di von Neumann. L’uomo che ci viene descritto impegnato nel calcolo della funzione d’onda, è lo stesso incapace di guidare civilmente un’automobile, ma che non si è per questo mai astenuto dal mettersi al volante dei suoi adorati bolidi, causando numerosi incidenti e cambiando veicolo annualmente.

Questo ed altri caratteristici episodi sulla personalità e la vita privata di von Neumann, ce lo fanno apparire forse più umano, quando nella realtà dei fatti era più simile ad un alieno plus-dotato. Una sorta di “young Sheldon”, ammesso all’università quando doveva ancora iniziare il liceo, che nell’istituto di ricerca in cui lavorava si divertiva ad infastidire Einstein, e che da bambino durante i pranzi in famiglia interrogava i presenti su quale fosse la lingua originaria della mente e come fa il cervello a comunicare con sé stesso.

“Vincere non basta, gli altri devono perdere”

La sua geniale quanto rapida produttività intellettuale gli consentiva di avere un’intuizione prima di chiunque e, come una miccia che una volta accesa si consuma rapidamente, allo stesso modo di stufarsene in breve tempo e passare all’idea successiva, mentre gli scienziati intorno a lui erano ancora occupati a capire e ne riconoscere l’importanza della prima. Ma le grandi ed eterne ossessioni di von Neumann, alle quali dedicò tutta la sua vita, furono essenzialmente: la bomba atomica, la teoria dei giochi e l’informatica.

Emigrato in America a causa dell’avvento del nazismo, impiegò tutte le sue energie per aiutare il suo paese adottivo a prepararsi all’imminente scoppio del secondo conflitto mondiale. Qui partecipò al famoso Progetto Manhattan per la realizzazione della bomba atomica, ed iniziarono a delinearsi quei tratti di follia che lo rendono tuttora oggetto di forti critiche morali. Non si limitò, infatti, a voler costruire la bomba ma l’ossessione si spinse al punto di volerne massimizzare il livello distruttivo, calcolando l’altezza ideale da cui farla detonare al fine di creare il maggior danno e morte possibile. Scelse anche l’obiettivo, quasi senza alcuno scopo concreto, con un’agghiacciante freddezza di calcolo. Come se una serie di fortuite casualità avessero escluso gli altri papabili bersagli, la sfortuna insieme alla bomba, si abbatté su Hiroshima. Le conseguenze sono storia.

La figlia Marina disse di lui: «Come molti geni, in genere non faceva caso alle necessità emotive di chi aveva accanto». E se estendiamo questo concetto dalla cerchia di amici e parenti, alla totalità degli esseri umani, molte altre cose trovano una spiegazione. Come l’accanimento dimostrato nell’incentivare una guerra nucleare preventiva per spazzare via l’Unione Sovietica. Forse non è giustificabile neppure tener conto del fatto che von Neumann era un uomo profondamente colpito da quello che il suo popolo aveva subìto da Hitler e aveva perciò sviluppato un forte senso pratico sugli eventi. Pensava, ma va ricordato che non fosse l’unico, che sconfitti i nazisti, l’unico regime totalitario che rappresentasse una minaccia per la pace mondiale fosse l’URSS.

Da questa ossessione inizio a prendere vita la celebre “Teoria dei giochi”, che divenne poi lo strumento di analisi preferenziale per calcolare le eventualità dei conflitti e le varie strategie da attuare. La guerra era diventata quanto mai un gioco.

E von Neumann, quanto mai visionario, già intuiva i nuovi processi con i quali si sarebbero potute combattere in futuro le nuove guerre, superate le bombe. L’informatica divenne la sua nuova ossessione. Prima che si arrivasse a capire la struttura stessa del DNA, von Neumann stava già pensando a come replicarla, ponendo le basi dell’attuale Intelligenza Artificiale e degli automi auto-replicanti.

“Mi pare di capire che la matematica non ti interessa più. Mi dicono che adesso pensi soltanto alle bombe”. “Sbagliatissimo” rispose von Neumann. “Sto pensando a qualcosa di più importante delle bombe. Sto pensando ai computer”.

Evoluzione tecnologica e regressione umana

Non è difficile intuire il motivo per cui von Neumann fu spesso oggetto di numerose critiche. Lui, cosi come molti altri suoi colleghi, furono scienziati messi al servizio della guerra. Quando il genio produce i suoi frutti, si sta chiedendo a quale scopo verranno usati e capisce le reali implicazioni e conseguenze delle sue scoperte?  Sembrerebbe auspicabile che l’evoluzione si arresti in prospettiva di un risultato che tende al peggioramento delle condizioni attuali. Ma questo peggioramento è da valutarsi su un piano pragmatico e fenomenologico o in senso morale?

Anche a voler pensare bene, viene spontaneo constatare che nessun obiettivo a lungo termine mantiene la purezza dell’intento iniziale, spesso vanificato dal tempo che ne contamina lo scopo.

Con la scusa del progresso la vita dell’uomo è scientificamente programmata verso obiettivi che avranno un impatto difficile da prevedere nella loro totalità. O si finge di non vederli?

Grazie alle scoperte di von Neumann si è sviluppata l’idea di costruire fabbriche completamente auto-replicanti sulla Luna, in grado di utilizzare le materie prime disponibili in loco, per contribuire a ridurre l’impatto dei consumi sulla Terra, già ampiamente danneggiata.

Viene da chiedersi allora se l’inarrestabile ciclo progressivo della scienza sia davvero un processo evolutivo, o solo il tentativo di porre rimedio alle precedenti scoperte divenute controproducenti in mano alle follie megalomani dell’uomo.

Verso la metà di questo secolo l’umanità ottenne il potere di estinguere la vita. Entro la fine del secolo sarà in grado di crearla. Dei due casi, è difficile dire quale comporti la maggiore responsabilità.

Cosa implica il processo evolutivo? Può mai esistere un equilibrio tra la tendenza alla semplificazione dei problemi della vita e il protendere inconsapevole, se non inevitabile, verso l’autodistruzione?

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