Lo scrittore e diplomatico francese Pierre-Jean Remy torna nelle librerie italiane dopo decenni con “La notte di Ferrara”, storia del vagabondaggio nella città estense di un collezionista parigino che non vuole separarsi da un quadro che ha prestato per una mostra. Due notti e un giorno in cui l’uomo si confronta con una città di artisti imprescindibili, a cominciare dal ripetutamente citato Bassani, fra ombre e fantasmi, a cominciare dalle persecuzione della comunità ebraica…
Difficile dire se sia stato più infaticabile come diplomatico o più prolifico come scrittore. Il ritorno nelle librerie italiane del francese Pierre-Jean Remy (pseudonimo di Jean-Pierre Angremy) colma un vuoto inspiegabile, durato decenni. Pubblicato da Feltrinelli negli anni Settanta e da Rizzoli negli Ottanta, l’autore transalpino, scomparso nel 2010, non meritava un esilio così lungo – tanto più che in Italia aveva vissuto e lavorato, e la penisola aveva condizionato positivamente alcuni suoi lavori – esilio spezzato dalla pubblicazione, per la collana dei classici del marchio Gammarò di Oltre edizioni, di La notte di Ferrara (284 pagine, 21 euro), con introduzione di Elvira Landò, un titolo edito Oltralpe nel 1999 da Albin Michel. Accademico di Francia, critico teatrale, collaboratore di giornali e riviste, con circa quasi settanta opere all’attivo, sia narrative che saggistiche (senza disdegnare la scrittura di qualche giallo, edito con un nom de plume), Pierre-Jean Remy nutriva i suoi libri di realtà e immaginazione, di una lingua sciolta, credendo a una letteratura capace di emozionare e di acciuffare l’attenzione dei lettori, senza mollarla più. Il grande pubblico si accorse di lui con i romanzi più avventurosi e romantici. Stendhal (citato anche ne La notte di Ferrara) era un modello dichiarato di Pierre-Jean Remy che seppe però sempre mantenere una voce propria, senza mai essere uno stucchevole imitatore.
Incontri, ricordi e visioni
Funzionario di altissimo livello, Pierre-Jean Remy, lettore e collezionista di libri, scrittore da riscoprire, che non disdegna i periodi lunghi e può permetterseli grazie a una lingua limpida ed elegante. La notte di Ferrara – tradotto da Maria Luisa Santi, dedicato a Giorgio Bassani e a due dei suoi personaggi più iconici e dolenti – è in qualche modo un omaggio al Belpaese, attraverso una città per molti aspetti cruciale, città di artisti imprescindibili, di luce e tenebre, che ha vissuto il male assoluto del Novecento. Il libro, che l’autore non vuol considerare un romanzo, allestisce un singolare vagabondaggio per i luoghi principali della città estense, le strade, i portici, il ghetto; intreccia vita, letteratura e arte, Bassani e De Chirico tornano più volte nel testo, ne sono numi tutelari, specialmente l’autore de Il giardino dei Finzi-Contini e de Gli occhiali d’oro. Un collezionista, vedovo della moglie Hélène che si era suicidata, lascia Parigi per recarsi nella città romagnola, dove trascorrerà due notti e un giorno: lì, al Palazzo dei Diamanti, sarà esposto un quadro di sua proprietà, realizzato dal pittore Jerome Jerzy, da cui fa molta fatica a distaccarsi: rappresenta Mathilde, una giovane amata sia dal protagonista, che scrive in prima persona, che dall’artista. Nelle pagine serpeggia cova una forte inquietudine, fra incontri reali, ricordi e visioni che s’intrecciano in un felice mix, tra fantasmi del protagonista e gli spettri degli anni Quaranta, il destino segnato, le deportazioni dei lager degli ebrei ferraresi.
Illusioni e malinconie
Pierre-Jean Remy ha scritto un libro che vive di atmosfere e di non detti, rispetto ai suoi titoli più noti è decisamente atipico. Ma è esemplare per quanto sa evocare più che dire o mostrare platealmente. Sapiente la mano che ha costruito l’anonimo personaggio principale che lascia per un po’ abitudini e certezze, che abbandona la sua abitazione parigina per una specie di viaggio nel buio e nel mistero, sembra di muoversi in un quadro di De Chirico, di udire la voce di Micol Finzi-Contini, tra ingannevoli illusioni e malinconie tremende, tra il terribile sospetto che certo odio non sia solo un retaggio del passato, ma persista ancora, che male e violenza possano ancora avere il sopravvento, anche nel presente.
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