Un diario lungo due decenni e un protagonista in bilico fra Messico e Stati Uniti. Con “Un mondo altrove” Barbara Kingsolver regala un altro speciale romanzo di formazione, il cui antieroe ricorda, per umanità e struggente tenerezza, il protagonista di “Demon Copperhead”. Pagine in cui fanno capolino impotenza, solitudine e ingiustizia, ma anche inclusività, libertà e diritti
Dopo il grande successo ottenuto con Demon Copperhead (premio Pulitzer 2023) torna in Italia Barbara Kingsolver, tradotta da Micol Toffanin, splendidamente vestita Neri Pozza in una nuova edizione di un libro uscito nel 2009 e vincitore l’anno seguente dell’Orange Prize for Fiction. Il titolo originale The Lacuna è prettamente attinente alla storia ma più pragmatico e realistico rispetto alla traduzione italiana. La scelta di convertirlo in Un mondo altrove (560 pagine, 23 euro) richiama un aspetto più evocativo, trascendentale, qualcosa che, di quella lacuna, si trova oltre ed è perfettamente congruo al simbolismo più intimo del racconto.
Una storia è come un dipinto, Sóli. Non deve assomigliare a ciò che vedi fuori dalla finestra.
La struttura del libro sceglie la forma di un diario personale: momenti di vita di Harrison Shepherd in un arco temporale che va dal 1929 al 1950 raccolti cronologicamente, dopo la sua morte, da Violet Brown.
Ma si può delineare così bene un protagonista senza mai parlare in modo diretto di lui?
Nonostante, essendo appunto una raccolta di memorie, sia scritto in prima persona, Harrison parla poco di sé stesso e la sua immagine ci viene restituita attraverso il riflesso dei personaggi che incontra e delle vicende che vive: «..come se fosse stato la persona con la macchina fotografica in ognuno degli eventi della sua vita, e quindi non è presente in nessuna foto».
Eppure sono molte le cose che ha da dire: americano da parte di padre e messicano da parte di madre, la sua vita si alterna tra questi due mondi in un periodo storico importante e ricco di avvenimenti come la seconda guerra mondiale e si intreccia con personaggi realmente esistiti come Frida Kahlo e Diego Rivera, creando una cornice della realtà romanzata in maniera molto pittoresca.
Tentativi di rivalsa
Anche Un mondo altrove come Demon Copperhead può essere definito un romanzo di formazione ed è quasi impossibile non fare paragoni tra i due protagonisti. Entrambi sono ragazzi “sfortunati” anche se in modi e con risvolti diversi e portano il peso di un’etichetta sociale, Demon l’hillbilly e Harrison il mestizo.
Partono da una situazione famigliare svantaggiata e la loro esistenza pare svolgersi in funzione di un tentativo di rivalsa che contribuisca ad ammortizzare gli urti della vita. Ma quella di Harrison – benché lui si senta un “ammasso vuoto di smarrimento” – è coronata da soddisfazioni maggiori e situazioni più rosee rispetto a Demon: si troverà per esempio ad aiutare il grande Diego Rivera mescolando l’intonaco per le sue opere, diventandone in seguito anche il cuoco e poi amico e confidente della moglie Frida Kahlo. Conoscerà il braccio destro di Lenin rifugiatosi dai Rivera in asilo politico, Lev Trockij, per il quale lavorerà come segretario.
Ma è tornando in America che la sorte di Harrison prenderà una svolta decisiva, almeno dal punto di vista della realizzazione professionale, salvo poi dover fare i conti con le assurde ingiustizie degli eventi, di cui anche Demon è irrimediabilmente vittima.
C’è tanta umanità in queste due storie e nella struggente tenerezza dei suoi protagonisti.
Siamo corpi, a volte sogniamo e sempre desideriamo.
Vita e destino
Benché la struttura del romanzo sia cronologicamente lineare assume un aspetto tentacolare per i vari argomenti trattati. La storia politica in particolar modo è perfettamente assorbita nel romanzo e funge da spunto per analizzare i sentimenti più intimi del protagonista; ma si potrebbe affermare anche l’esatto opposto, ovvero che è attraverso la voce di Harrison che si dipana il meccanismo di critica sociale, attuato dal punto di vista dell’uomo comune in relazione al potere e ad eventi collettivi come la guerra. Quest’ultima, unita ai meccanismi politici, la tirannia, i mezzi di informazione e tutti i paradossi che ne derivano, invadono prepotentemente l’esistenza di Harrison dando adito a quelli che sono i temi fondamentali del libro: impotenza, solitudine, ingiustizia, ma anche senso di appartenenza, inclusività, libertà e diritti. E l’aspetto più importante di tutti: le parole. Le parole celate o quelle abusate, possono salvare e redimere o ferire come armi in base all’utilizzo che si sceglie di farne.
Dio parla per l’uomo che tace.
Un oceano di libertà
Un mondo altrove può regalare un’esperienza di lettura lenta, se ci si sofferma sull’intonazione di alcune frasi, per assorbirle e visualizzare le immagini che restituiscono. La sapienza narrativa di Kingsolver risiede nell’abilità di saper bilanciare perfettamente le parole, senza mai eccedere in virtuosismi o periodi artificiosi lessicalmente ma ottenendo al contempo un risultato conciso e poetico. È indubbia la capacità di contagiare emotivamente il lettore grazie ad una prosa avvolgente, ammaliante e dal retrogusto dolce-amaro.
Poiché Harrison proviene da due mondi differenti come l’America e il Messico, il suo senso di appartenenza vacilla sempre e non si sente mai pienamente a casa in nessuno posto. Ma la sua ricerca di un mondo altrove assume man mano contorni terreni meno netti sfumando in un’esigenza più spirituale, un luogo non geografico in cui ripararsi da una realtà che nonostante i nostri sforzi ci ha delusi. Forse un posto così non esiste, o forse sì, bisognerà avere il coraggio di tuffarsi nell’oceano – quell’oceano tanto ambìto anche da Demon – e seguire il flusso della corrente per scoprire dove ci porterà.
Questa è la mia piccola zattera. Non so che cosa ci attende, dall’altra parte.
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