Vento di passioni, la Sicilia carnale di Barbarino

La scrittura de “la Dragunera” di Linda Barbarino è intensa, passionale al punto da scuotere il lettore che non può non farsi trascinare nelle ossessioni e nelle gelosie dei protagonisti. La storia di un triangolo amoroso, di una famiglia patriarcale, in un’Isola rurale e ancestrale

«La chiamavano Bocca di Rosa, metteva l’amore, metteva l’amore. La chiamavano Bocca di Rosa, metteva l’amore sopra ogni cosa». Chi non conosce l’incipit di una delle canzoni più famose di Fabrizio De Andrè? Il racconto dell’arrivo nel paesino di Sant’Ilario di una donna che non faceva l’amore per noia, né per professione, ma per passione. L’espressione “bocca di rosa”, entrata nel linguaggio comune come eufemismo di prostituta, mi è venuta in mente leggendo il romanzo di esordio dell’ennese Linda Barbarino, La Dragunera (192 pagine, 17 euro), pubblicato dalla casa editrice Il Saggiatore. Un esordio senza dubbio potente, non a caso l’autrice è stata finalista al Premio Calvino 2019

Rosa Sciandra avrebbe dato qualunque cosa per tornare nella casa di quand’era carusa, per vedere anche una sola delle cuticchie che uscivano dal muro, pietre attaccate col gesso, grattato come se gliel’avessero sputato i topi mentre passiavano sulle pareti tutte gobbe, che quelli, i surgi, salivano ovunque.

Anima pura e prostituta

Rosa Sciandra è la buttana del paese di Suriano, prostituta per scampare alla povertà e miseria più profonda, che conosce l’amore come la Bocca di Rosa di De Andrè. Nella casa poverissima in cui vive riceve i suoi clienti verso i quali nutre una vera e propria avversione, «Solo con Paolo è diverso», l’uomo che non considera “lavoro”, che ama in modo viscerale e pieno e su cui fantastica spinta dal desiderio di una vita il più possibile normale. Perché “la Sciandra, è un’anima pura, un bocciolo strappato alla spensieratezza di carusa”

C’aveva provato a lasciarlo, a pensare che non era cosa, però appena quello le friscava, sentiva come se l’afferravano da sotto e la tiravano, fino alla bocca dell’anima; una quadarata in testa e aveva solo il tempo di farsi il segno della croce prima di infilarselo nel letto.

Carezze che stringono come ferro filato e lasciano strisciate di sangue vivo nella carne «Paolo! Sto ferro filato è doloroso, ma tu stringi, stringi! Muoio o campo che mi interessa? Paolo, stringi!». Bastano queste poche righe per capire l’intensità della narrazione, in cui si alternano forza e delicatezza, ironia e malinconia e si incontrano personaggi straordinari come la Dragunera, cognata di Paolo (moglie del fratello Biagio), per la quale perde completamente la testa.

La femmina del diavolo

Barbarino racconta l’antropologia e il folklore, nonché le antiche credenze contadine dell’entroterra siciliano. A fine estate, nel centro Sicilia inizia la vendemmia e le campagne si animano di uomini e donne che lavarono per raccogliere l’uva da vino. La fine della bella stagione, però, è accompagnata dalla minaccia di temporali capaci di distruggere i raccolti e a tale minaccia i contadini, in passato, associavano la figura malvagia della Dragunera, un flagello di vento e acqua scatenato da spiriti maligni atmosferici. Dragunera è anche la bellissima moglie di Biagio, una donna da cui è bene tenersi lontani, una magara, «una strega, coi capelli rizzi e niuri come scursuna nturciuniati», la femmina del diavolo che ha obnubilato la mente di Paolo che sogna ossessivamente di possedere la cognata.

Tra platealità e pudore

Ciò che affascina del romanzo è il richiamo a quel particolare codice che è non fatto solo di dialetto, ma anche di gestualità, una delle caratteristiche più originali dei siciliani. Vocaboli come “cuntrastiare, cuticchie, carusa, viddrano, annirbato, mascolo, ntisa, verno”, non sempre chiari da interpretare, sembrano evocare quella tradizione linguistica ibrida tra siciliano e italiano che abbiamo imparato a conoscere e apprezzare con Camilleri; “sicilianismi”, ormai entrati nell’uso quotidiano, che danno forma e identità a personaggi e a luoghi del romanzo. La potenza del lessico accompagna ed esalta il linguaggio gestuale, usato per rafforzare quello parlato, strettamente connesso alla struttura mentale dei siciliani e alla loro personalissima visione del mondo. La comunicazione non verbale a cui si affida Barbarino nel suo romanzo obbedisce ai modi di essere dei personaggi: da una parte la melodrammaticità e la platealità, quell’esagerazione enfatica con cui si raccontano sentimenti; dall’altro lato, la riservatezza e il pudore. Nel personaggio di Rosa Sciandra  c’è l’equilibrio perfetto tra questi opposti. L’autrice sa anche dosare egregiamente l’uso delle figure retoriche che donano maggiore incisività e un particolare effetto sonoro o significato alle immagine, alle sensazioni e alle emozioni di cui è ricco il romanzo.

Il mondo rurale e un triangolo

La Sicilia umile e rurale che racconta Barbarino ricorda molto il mondo contadino, arcaico e ancestrale, nella raccolta di novelle Vita dei campi di Giovanni Verga che vede tra i protagonisti figure caratteristiche della vita contadina del Sud Italia. Come nelle principali novelle “verghiane”, i personaggi si muovono dentro un triangolo amoroso in cui spicca una figura dominante. Rosa è innamorata di Paolo che la usa solo per soddisfare le proprie voglie sessuali; quest’ultimo perde il senno per la moglie di suo fratello, la Dragunera, una donna che non è altro tempesta e sciagura. Emerge, altresì, l’attaccamento alla famiglia, alla casa, con Angelina che cerca di dissipare la rivalità tra i due figli e per tale motivo si scontra con il marito, Don Tano; nonché la mente patriarcale che si manifesta in un predominio sulle donne, sulle quali gli uomini esercitano autorità.

Tu ha pensare ai fatti tuoi, femmina sei, t’ha fari a calzetta! non ti ci devi immischiare nelle cose di fora! Ci siamo noialtri masculi per i sirbizza della campagna.

La scrittura è intensa, carnale, passionale al punto da scuotere il lettore che non può non farsi trascinare nelle ossessioni e nelle gelosie dei protagonisti. È una scrittura struggente, soprattutto nelle pagine dedicate all’infanzia difficile di Rosa, diventata buttana per necessità, non senza dolore e sofferenza, ossessionata da quella casa che ha dovuto abbandonare da piccola e in cui vuole tornare. La Dragunera di Linda Barbarino entra nella carne, scorre nelle vene e rimisculia il sangue.

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