Raccontare l’amore irrazionale, il coraggio di Bonvissuto

“La gioia fa parecchio rumore”, romanzo di Sandro Bonvissuto più che a “Febbre a 90′” di Hornby andrebbe accostato a “Follia” di McGrath. Con la voce di un ragazzino di borgata e una prosa colta e ipnotica dimostra che la passione per il calcio non è molto differente dalla religione, nella gioia e nella disperazione

Troppo facile accostare La gioia fa parecchio rumore (200 pagine, 18,50 euro) di Sandro Bonvissuto a Febbre a 90′ di Nick Hornby. Troppo facile e scontato. Volendo azzardare proprio un parallelo, l’ultimo riuscitissimo romanzo di Bonvissuto, pubblicato da Einaudi, rimanda a Follia di Patrick McGrath. Perché La gioia fa parecchio rumore non è un romanzo sul calcio e i suoi protagonisti. Non è un romanzo destinato soltanto agli appassionati del pallone.

Un pretesto

Qui il calcio è quasi un pretesto per raccontare un amore folle, malato, assoluto, sconfinato, non necessariamente corrisposto e soprattutto irrazionale. Un amore cieco, un’ossessione capace – come ogni grande vero amore – di porre in secondo piano qualsiasi interesse/evento/persona, anche a discapito di sé stessi.

…quella continua prova d’amore che ci chiedeva lei, che non voleva essere amata perché vinceva: voleva essere amata e basta.

«L’originalità di uno scrittore si riconosce dal coraggio con cui ha osato lanciarsi nell’abisso», ha scritto Connie Palmen dando voce a Ted Hughes in Tu l’hai detto. E Bonvissuto ha avuto molto coraggio, gli va riconosciuto. Si è gettato a capofitto nel proprio abisso ed è riemerso con un diamante.

Autoironia e introspezione

Senza una buona dose di autoironia però, non sarebbe riuscito a scrivere un libro così bello, introspettivo e profondo. Non sarebbe riuscito a mettere a nudo l’animo truce del tifoso e della sua tribù, una comunità che condividendo una fede autentica e sincera, al suo apice sfiora il misticismo. La passione per il calcio non è molto differente dalla religione, perché è un sentimento che non ha nulla di razionale. Nella gioia e nella disperazione. Tant’è che l’autore non si sforza mai di spiegare, di fornire una logica a ciò che logico non è; Bonvissuto al limite racconta, e lo fa (molto bene) attraverso la voce di un ragazzino di borgata, usando una prosa colta e ipnotica.

Avere la libertà di scegliere non vuol dire affatto essere liberi, ma al contrario, essere spinti a esercitare quella scelta forzata.

La storia si dipana attorno alle vicende del piccolo protagonista, che dovrà superare esami e riti d’iniziazione veri e propri prima di essere reputato dalla famiglia all’altezza di un così grande amore. Attorno a lui ruotano un microcosmo di personaggi veraci, resi vividi e indimenticabili dal dialetto romanesco, che Bonvissuto usa con sagacia e parsimonia per divertire e plasmare. Tra i vari personaggi spicca la figura più mistica, quella di Barabba, una sorte di barbone-filosofo in grado di fornire al protagonista risposte spirituali e perfino chiavi di lettura cabalistiche. E quella del nonno, arguto, tagliente e profetico.

Nonno diceva spesso che se un giorno si fosse ammazzato, sarebbe stato sicuramente di domenica pomeriggio.

L’accostamento con il fortunato Febbre a 90′, si diceva all’inizio: certo, può risultare naturale. Gli ingredienti sono più o meno gli stessi (il calcio di una volta, la passione e il tifo da stadio), anche se cambia lo scenario. Ma vanno fatti un paio di distinguo. Bonvissuto è romano ed è questa sua romanità – elemento astratto che racchiude in sé, non tanto l’esser nato in una città, ma un mondo, un modo di essere e un paio di millenni di storia – che dà al romanzo una poesia e una concretezza fuori dal comune.

Solo la maglia

E poi va sottolineata la scelta, assolutamente coerente (e vincente) di non assoggettare al tempo gli eventi che scandiscono la vita del piccolo tifoso romanista, e di non citare mai giocatori, allenatori o presidenti. Nessuna eccezione. Al massimo Bonvissuto lascia intendere, come nel caso del compianto capitano (Di Bartolomei) o del campione brasiliano (Falcao). Perché deve essere chiaro a tutti: non è il calciatore il destinatario di questo amore, ma solo ed unicamente la squadra, la maglia, la Roma. E allo stesso modo Bonvissuto non cita mai la principale antagonista (la Juventus), men che meno gli acerrimi rivali cittadini (la Lazio). Semplicemente nel libro non esistono. Nel libro esiste solo la Roma.

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