Speculare sulla morte con esiti comici, ancora Savarese

“Malagigi” è il quarto romanzo dell’ennese Nino Savarese, ormai un classico, che la casa editrice palermitana Il Palindromo riporta alla luce a oltre novant’anni dalla prima pubblicazione. Un bizzarro proprietario terriero alle prese con domande sull’esistenza e sull’aldilà. Un’epopea strampalata, che scatena ilarità e malelingue. Un gran libro

Rispetto alla trilogia – che comprende I fatti di Petra, Rossomanno e Il capo popolo – già recuperata dalla casa editrice Il Palindromo, con Malagigi (202 pagine, 13 euro) si fa un passo indietro dal punto di vista temporale nella produzione di Nino Savarese. Ma non in quello della qualità e dello spessore letterario. Alla fine degli anni Venti, come chiarisce bene Maurizio Padovano nella prefazione, questo romanzo trovo spaziò prima sulla storica rivista Nuova Antologia e poi, come racconta anche in un libro molto interessante (A via della Mercede c’era un razzista: Lo strano caso di Telesio Interlandi, per Marsilio) Giampiero Mughini, per le Edizioni del Lunario Siciliano («uno sfiatatoio di sicilianità»).

Il mistero dei misteri

Don Andaloro Raschione, proprietario terriero di una remota provincia siciliana, intende arrivare dove «non è arrivato ancora nessuno», vuole scoprire e comprendere il segreto dell’aldilà, svelare davvero in cosa consiste la morte. Il resto – le occupazioni quotidiane e terrene – sono, a suo modo di vedere, assolutamente futili. Tutti coloro che non si interrogano sull’esistenza e su come finisce, a cominciare daigli abitanti del suo paese, e dalla sua stessa sorella Teresa e dalla nipote Paolina (entrambe guardate «con commiserazione e dispetto»), per Don Andaloro, detto Malagigi, sono sciocchi e rozzi, ignoranti da salvare. Lui ci prova. Senza mescolare scienza e religione, considerando l’uomo uno strumento di conoscenza, che «come ogni strumento deve essere preparato, accordato, apparecchiato». Provando a indagare il mistero dei misteri, senza badar troppo ad altro, «quelle piccinerie, quelle miserie: politica, matrimoni, danaro, vanità…»

Ridicola epopea

Attratto da occultismo e spiritismo, il protagonista di Malagigi – tra veglie notturne ed esercizi di concentrazione in cantina – dà vita a una personalissima surreale e ridicola epopea speculativa, con esiti comici (a cominciare da certe “imprese” con il servo Cataldo e a ragionamenti con Moschetto, un fannullone che tutti chiamano “professore”), scatenando ilarità e malelingue: più va avanti, la creatura di Savarese, più dà di matto, fra atteggiamenti da demiurgo ed eccessi nel bere e nel mangiare. A nulla servono consigli e raccomandazioni di sorella e nipote, con cui vive, e che decideranno ben presto di lasciare la casa che condividono.

Diffondere il verbo

Savarese ha stile riconoscibile, e a più riprese levigato e aulico; conduce il lettore in istantanee (i capitoli) che sembrano sfumare l’una nell’altra, può ricordare qualcuno, ma è semplicemente se stesso, anche parecchi anni prima delle sue opere più mature. Malagigi sembra un po’ favola, un po’ saga verista, e anche racconto cavalleresco (forse in qualche modo sua parodia), come suggerisce Padovano nelle sue pagine preziose. Forse è solo un gran libro, di un grande scrittore. Sta a noi lettori accorgercene e… diffondere il verbo.

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