Area 22. Kenaz e la polifonia delle suggestioni

Nella raccolta “Cantare in coro” di Yehoshua Kenaz dieci tentativi ottimamente riusciti, in altrettanti racconti, di ciò che si può trovare molto più diluito in dieci romanzi. L’autore è un impressionista della vita, capace di mostrarla con le stesse infinite e imprevedibili variabili di cui è capace: amore e violenza, tenebra e luce, incubo e idillio. Nuova puntata della rubrica Area 22

Il racconto è l’unica forma di narrativa capace di farti ritrovare il tempo che avevi creduto interamente consumato nella lettura di un romanzo. Ma soprattutto è capace di farti trovare, in mezzo alla più totale mancanza di tempo, quello necessario per farti leggere qualcosa di breve che, tuttavia, porta in sé il senso del tutto.

Questo un racconto. In generale.

Un giardiniere

Se poi si scende nel particolare, e ci si sprofonda in quelle piccole narrazioni di genere, che sono come dei cristalli capaci di reduplicare il DNA di tutto un mondo letterario, allora significa che si è trovata la pagina giusta, scritta da una penna che – meglio di tante altre – ha saputo restituirti ciò che non hai mai avuto ed è stata capace di farti sentire nostalgia di eventi e momenti mai vissuti.

Questo in due parole è Yehoshua Kenaz, da poco scomparso, anche lui vittima di un virus che ce ne ha tolte davvero tante di occasioni per ripercorrere sentieri ai quali ci eravamo affezionati. Kenaz era un vero e proprio giardiniere, sul ciglio di questi sentieri.

E cosa si fa sul ciglio di un sentiero, mentre si coltivano fiori di parola e di pensiero? Si osserva chi passa, ci si sofferma sulle cose che i passanti indossano, si ascoltano i loro discorsi. E lo si fa mettendosi da parte, o rimanendo fermi se già ci si trova al margine.

Quei segreti condivisi coi lettori

Così è la scrittura di Kenaz in questa raccolta di racconti (potete leggere il racconto eponimo qui), Cantare in coro (129 pagine, 15 euro), tradotto da Elena Loewhental per Giuntina: marginale, decentrata da sé stessa, dal proprio io letterario, e focalizzata su quello dei lettori, su un “tu” che non diventerà mai una forma di relazione aperta e consapevole, ma rimarrà sempre sul limite, sul margine di un inconscio comune che sta a metà tra l’Autore e i suoi lettori.

È proprio qui che Kenaz scrive, ed è questo che descrive: un’intersezione di segreti inamovibili che egli condivide coi suoi lettori pur senza averne mai parlato loro apertamente.

In qualche modo simile ad un primo McEwan, o ad un primissimo Ishiguro, Kenaz riesce a produrre i medesimi fremiti di indefinitezza pur mantenendo una personalità letteraria che riesce a contraddistinguerlo benissimo. Certo, in tutto ciò aiutano le ambientazioni fisiche e geografiche, legate alla sua terra che è la Terra, ma non solo. Kenaz è geografo di spazi interiori che superano ogni confine geopolitico o cosmico, riuscendo ad essere ebreo come Mosè, senza metterci piede ma muovendo passi con il solo sguardo, dal Nebo della coscienza.

I suoi racconti, che sono appunto come sguardi veloci su realtà possibili e parallele dell’unico mondo, ti fanno percepire la stessa sensazione che si prova quando, camminando lungo un sentiero, hai la sensazione che qualcuno ti guardi. In realtà sei tu, mentre leggi, che cerchi di guardare lui! Ma le due cose, insieme, non sono possibili.

Kenaz produce perciò, attraverso la sua scrittura, questa strana ripresentazione eisemberghiana, dove il guardante e il guardato non possono incontrarsi continuando ad essere ciò che sono: se cerchi l’Autore in mezzo al racconto, egli smette di mostrarsi; se tra le pagine cerchi te stesso, ecco che vien fuori lui!

Come un cubo di Rubik

Accade con moltissimi personaggi, tutti diversi tra loro ma sintomatici di un’unica umanità che è come un cubo di Rubik: capace di inverarsi in sempre nuove forme, rendendoti difficilissimo il compito di metterne insieme tutti i colori. E qui non ci sono regole o trucchi che tengano: questo cubo non consente mosse a memoria, non permette che ci si possa ricordare della soluzione; non puoi leggere un racconto affidandoti esclusivamente ai passaggi tipici del componimento letterario perché, lì dove pensavi di aver capito come sarebbe potuta andare a finire, ecco che la storia ti toglie le scarpe. E questo non accade semplicemente per effetti di suspence o di stile, ma proprio per la genialità tipica di un Autore che è come un impressionista della vita, capace di mostrartela con le stesse infinite e imprevedibili variabili di cui è capace: amore e violenza, tenebra e luce, incubo e idillio; senza che ad ognuna di queste parole debba necessariamente corrispondere un racconto diverso, dato che è possibile incontrare tutte queste alchimie nello scambio d’una decina di pagine.

Imprevedibilità e indeterminatezza

Anche a me piacciono i passaggi in tonalità minore, dico per far eco ad una frase incontrata nel libro, che è già bastata a farmi entrare in sintonia con chi l’ha scritto.

Le suggestioni in questa raccolta di racconti: sono come l’esempio che ho fatto prima ma con una doppia plusvalenza di imprevedibilità e indeterminatezza. Alcune volte una frase ti colpisce perché la trovi simile a te stesso, alle tue sensibilità, al tuo modo d’essere; altre volte perché sai che in qualche modo ti appartiene, ma non sai in che modo! Capisci che è legata ad una qualche parte di te che non hai ancora individuato, eppure è lì da qualche parte perché quel racconto è stato capace di riverberarsi nella triangolazione dell’immaginifico, della coscienza e dell’abisso che ci sta sotto. E se ti succede mentre vedi ammazzare un cane – tanto per consegnarvi un’immagine – cominci a preoccuparti perché inizi a chiederti se quella scena ti abbia attirato per una ragione o per il suo esatto contrario.

E quante volte succede questa cosa! Quante volte, mentre leggi, ti accorgi che la trama sulla quale tenti di rimanere attaccato ti sta facendo andare, in realtà, nella direzione opposta di quella che l’Autore traccia in modo invisibile ma persistente. In quasi ognuno di questi racconti, gli intrecci narrativi sono trappole, e la meta è nascosta lì, da qualche parte, come un passaggio segreto. Alcune volte te ne accorgi e lo azioni, con immenso gusto!

La ragnatela di elementi emotivi

Per il resto, chi ha già conosciuto Yehoshua Kenaz – per esempio – con Non temere e non sperare (in Italia edito sempre da Giuntina), ritroverà certamente alcune atmosfere, e potrà calcolare lo scarto spaziotemporale che trasforma il romanzo in racconto, e viceversa: in Cantare in coro (dove il titolo è emblematico dello stesso effetto che viene prodotto dalla polifonia delle suggestioni) si trovano dieci tentativi ottimamente riusciti di darti, in altrettanti racconti, ciò che potresti trovare in modo molto più diluito in dieci romanzi. Sì, prestate attenzione a questo particolare: ognuno dei dieci racconti potrebbe tranquillamente bastare per ricavarci un romanzo o un lungometraggio, tanto fitta è la ragnatela di elementi emotivi nei quali si rimane invischiati.

Consiglio senz’altro questa lettura a chi, di Kenaz, non conosce ancora nulla. E a chi, soprattutto, conosce già ogni altra cosa meno questa!

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