Alfredo Speranza, ratti migranti (e umani) senza requie…

Lo stile già prima del plot in “Rattatata” di Alfredo Speranza, storia di una colonia di roditori nel lembo di un sottosuolo di Roma, in cerca di un posto dove poter condurre una tranquilla esistenza stanziale. Pochi metri più su personaggi ai confini della realtà e quadretti quotidiani di felliniana memoria

«Pensieri tranquilli dentro a quell’inizio sontuoso di primavera che già apparecchia gale di foglie nuove e bottoni come smerli tra gli olmi chiusi sul fiume»: nell’esperienza narrativa di ogni latitudine e di ogni tempo c’è chi si è servito e continua a servirsi soprattutto della storia, della trama – o, se preferite, del plot – per creare un punto di contatto con il lettore e c’è chi, come Alfredo Speranza, sceglie strade inusuali e, rotti gli indugi, decide di dare forma al magico rapporto, affidandosi prima di tutto alla scrittura.

Lessico che toglie il fiato

Già, la scrittura, questa sconosciuta, che l’autore di Rattatata presenta nel suo romanzo pubblicato da Nutrimenti, forte di una successione di parole e di un lessico che, come ogni singola nota della Badinerie di Bach, riesce a lasciare senza fiato anche il lettore più aduso.

Tutto questo per far cosa? Per parlare di ratti. Proprio così, di ratti, anzi, per essere più precisi, di una colonia di ratti. Che, nel sottosuolo di Porto Giordano, “minuscolo lembo di terra dove si spalanca una Roma eccentrica”, tenta di prosperare e moltiplicarsi in tutta tranquillità, ma che, come molti degli umani meno fortunati, è costretta a spostarsi di continuo per via di eventi tutti sfavorevoli, al punto che i suoi membri, a cominciare dalla Ratta madre e guida, per finire con l’ultimo dei roditori, riescono a meritarsi sul campo e a pieno titolo l’appellativo di “topi migranti sulle pendici di Monte Mario”.

Attenzione per gli ultimi

In questa storia piena di amorevole e discreta attenzione per gli ultimi e di pacata indulgenza per i cattivi, (che poi cattivi non sono), i ratti tentano disperatamente di trovare un posto dove poter condurre una tranquilla esistenza stanziale, mentre, qualche metro sopra, una congerie di personaggi ai confini della realtà popola ed anima, con i suoi quadretti quotidiani di felliniana memoria, il quartiere che, all’interno della Capitale, giace leggermente sotto il livello del Tevere.

Faustina e Lidia, Bacchisio e Anne, sono loro, con gli altri, a dare un senso al quartiere e dal quartiere ricevono, senza mai spostarsi, forza e linfa vitale, perchè «ci sono delle vite che durano dalla nascita alla morte e altre che si fermano prima che arrivi la fine. Ce ne sono di lunghissime, e altre che sbocciano per poi spegnersi presto o chiudersi dentro uno scrigno, un’abitudine, una stanza, che sarà la loro prigione».

Vite parallele

E così a Porto Giordano scorrono e si consumano, non senza punti di contatto, le vite parallele dei ratti e degli umani; i primi senza mai requie e senza nessuna certezza del domani, gli altri del tutto privi di prospettive ed illusioni, colpiti, come sono, da un “vivere di niente” e, dunque, ben lontani da una seconda occasione.

A guardare oltre, viene, in realtà, il sospetto che siano proprio il grande fiume e quel provvidenziale dislivello a volere allevare e al tempo stesso proteggere gli abitanti del quartiere. Dalle insidie dell’esterno, certo, ma anche della normalità, del “traffico ininterrotto” della vita consueta. È il Tevere a mantenere tutti entro un confine che nessuno si sogna di varcare, «The sheep remain inside their pen, though many times they’ve seen the way to leave», cantavano i Genesis dei migliori anni. Tutti, insomma, restano dentro il recinto, anche se molte volte hanno visto, e conoscono bene, l’uscita. E a Porto Giordano, così come in ogni altra parte del mondo, uscire significa spesso migrare e, dunque, soffrire e, certamente, anche un po’ morire.

Rattatata (256 pagine, 18 euro), romanzo di esordio di Alfredo Speranza, pubblicato da Nutrimenti, è stato finalista al Premio Calvino 2021, dove ha ricevuto una menzione speciale.

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