Assaf Inbari, se Israele è una questione di prospettive…

Chi ha fermato il tank siriano che nel 1948 avanzava sulle alture del Golan? C’è una versione ufficiale e un eroe riconosciuto, ma ci sono altri cinque punti di vista nel romanzo “Il carro armato” di Assaf Inbari. Si intrecciano storia e mito, si riflette sulla nascita di uno Stato, sulla memoria mutevole, sulla coscienza di Israele

Scene da Tienanmen in Israele? Sì, forse, chissà. Servirebbe più clamore, in Italia, attorno alla figura di Assaf Inbari, scrittore israeliano scoperto grazie al suo libro Verso casa (ne abbiamo scritto qui) e che è ritornato in libreria – sempre grazie alla casa editrice Giuntina, nella traduzione di Alessandra Shomroni – con Il carro armato (288 pagine, 20 euro), scritto a nove anni di distanza dal precedente, un altro viaggio al termine della coscienza di Israele, il tentativo di capire che cosa si cela dietro le verità ufficiali, un ragionamento sull’immaginario collettivo a proposito di giustizia e colpe, di storia e mito.

Ciò che scontato non è

Al mito è legato un episodio della guerra del 1948, poco dopo la nascita dello Stato israeliano, proclamato da David Ben-Gurion: una molotov scagliata da Shlomo Hochbaum (imprigionato e sopravvissuto a un lager, componente del kibbutz Degania) contro uno dei carri armati siriani sulle alture del Golan ne fermò la corsa; questo è quello che, epicamente e sentimentalmente, si tramanda, e quel tank è davvero davanti al luogo in cui fu fermato, non semplice monumento a uso e consumo dei turisti, ma Assaf Inbari prova ad andare oltre le certezze del passato, oltre ciò che sembra scontato e cristallizzato nella memoria collettiva, e a servirsi della letteratura per confrontarsi con altre versioni, con punti di vista diversi, con ciò che scontato non è.

I dubbi più della verità

Affiorano dolori e segreti nella ricerca documentaria trasformatasi in romanzo, in una storia che ha debiti evidenti con le Sacre Scritture. La verità ufficiale però sembra essere superata da altre prospettive, quelle di Itzhak Eshet, Shlomo Anshel, Borka Bar-Lev e David Zrachia: diventano loro, uomini disillusi, di volta in volta, i salvatori della patria – né spacconi né matti – e ogni volta grazie a qualcosa di diverso di una bottiglietta incendiaria. Forse la verità storica è un concetto molto più liquido del previsto. Sono gli interrogativi a primeggiare, i dubbi, l’intreccio delle voci parimenti convincenti a proposito dell’evento centrale del libro; gli altri aspiranti eroi, tutti sulla cinquantina, rappresentano la gioventù israeliana al tempo del conflitto bellico, diffidente, timorosa, che si sente in pericolo e sotto pressione perenne.

Storie ma anche idee

Il romanzo di Assaf Inbari è arguto, ironico, pieno di intuizioni, imprevedibile nella moltiplicazione delle versioni, profondo nella riflessione attorno alla verità, alle declinazione delle fonti storiche, alla memoria mutevole di ciascuno di noi. La lettura de Il carro armato finisce per essere inebriante, avvincente. L’unica certezza è che i cingoli di un convoglio siriano di parecchi decenni fa si arrestano, che l’avanzata contro Israele si ferma, che il mezzo militare diventa un simbolo, un monumento, a favore di scolaresche, reduci di guerra, semplici curiosi. Emerge l’affresco storico di una giovane patria, sorta dopo la Shoah, un romanzo corale di sicuro effetto e di presa sul lettore avido di storie, ma anche di idee.

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