Le poesie di Yara Nakahanda Monteiro, aritmie identitarie

Voci di donne dal ritmo sincopato, che richiamano i processi discontinui e irrazionali della memoria. Sono nei versi di “Memorie Apparizioni Aritmie”, firmati dall’angolana Yara Nakahanda Monteiro. Pronipote della schiavitù, si definisce, ed è cresciuta in un Portogallo che, per decenni, ha omesso le colpe del colonialismo

È merito di Capovolte Edizioni la traduzione italiana della raccolta di poesie Memorie Apparizioni Aritmie (160 pagine, 15 euro) dell’autrice angolana Yara Nakahanda Monteiro.

Scrittrice ancora poco nota in Italia, (è di Edizioni Urogallo la pubblicazione del romanzo d’esordio ‘Sta tipa spacca) la Monteiro sta acquisendo visibilità e importanti riconoscimenti sia in Brasile sia in Portogallo, dove è conosciuta come membro di un gruppo di scrittori sempre più letti e studiati nel panorama letterario contemporaneo del Portogallo, afrodiscendenti emigrati e figli della dissoluzione dell’Impero coloniale a seguito delle insurrezioni indipendentiste del 1975, tra i quali ricordiamo, per citare alcuni nomi, Djaimilia Pereira de Almeida (qui un articolo), Ana Paula Tavares, Raquel Lima, Joaquim Arena, Gisela Casamiro.

Nata in Angola nel 1979, a due anni si trasferisce in Portogallo con la madre e la famiglia materna, dove vive tutt’ora scrivendo della propria esperienza di donna nera emigrata in un clima politico e culturale, è bene ricordarlo, che per decenni ha omesso le responsabilità e gli impatti del colonialismo. Si definisce «pronipote della schiavitù, pronipote delle relazioni interrazziali, nipote dell’indipendenza e figlia della diaspora».

Ricostruzione memoriale

In Memorie Apparizioni Aritmie Yara Nakahanda Monteiro offre al lettore un percorso di ricerca: quello di una ricostruzione memoriale, di un viaggio dove il tempo è un “presente antico” che riverbera e risuona anche grazie alla scelta di mantenere nel testo italiano i termini del portoghese angolano e delle lingue umbundu e kimbundu interdette durante il colonialismo (il lettore troverà il testo portoghese a fronte e una sezione finale nella quale vengono riportati i significati delle parole straniere). Sono infatti le storie della nonna, della sua “cota cambuta”, a tessere le fila dell’esperienza coloniale, della schiavitù e della diaspora che ha sradicato l’identità ma anche i legami di appartenenza delle generazioni future.

Un passato che ritorna, quindi, «un tempo antico che matura» nel presente postcoloniale di una afrodiscendente che vuole ricordare e che si oppone a un tempo muto in cui le storie continuano a ripetersi, senza che tuttavia se ne parli.

Matria

Lo sradicamento e la ricerca delle proprie origini sono temi cari alla Monteiro e al centro del suo romanzo d’esordio Essa dama bate bué (Sta tipa spacca). La protagonista Vitória, afrodiscendente su suolo portoghese, si interroga sulla propria d’entità e decide di cambiare rotta e mettersi sulle tracce della madre angolana, combattente durante la guerra civile che ha portato all’indipendenza del paese. L’Angola è qui ancora quel luogo mistico, rimpianto e tramandato, la madre terra («matria», nella scelta linguistica della Monteiro), che la nuova patria, il Portogallo, ha sbiadito e che deve quindi scontrarsi con la realtà del continente africano di oggi, spogliato della patina esotica tipica dei racconti familiari.

Aritmie

Con straordinaria delicatezza l’autrice rivela una quotidianità che ha il sapore della terra, il colore di un vestito a fiori sgargiante e il sapore salato di una «litania triste». «Piccole vicende quotidiane» si afferma nella prefazione di Ubah Cristina Ali Farah, apparizioni di presenze passate, frammenti di sensazioni, fotografie, “parole defunte” e “sogni tremuli”, voci di donne vecchie e giovani che assumono un ritmo sincopato, delle “aritmie”, come si indica nel titolo, a richiamare i processi discontinui e irrazionali della memoria.

Impegno e opposizione

Epifanie che tuttavia non rimangono rilegate in una dimensione puramente memoriale perchè, come ricorda il traduttore Nicola Biasio nella postfazione, se la poesia «è stata (ed è) l’arte di opposizione ai sistemi di oppressione coloniale» qui la geografia del ricordo diventa corpo di donna e così la memoria si fa materica, sanguigna, riesuma violenze e soprusi che l’io poetico equipara al deturpamento della natura, al disboscamento.

Alla quotidianità corrispondono gli spazi geografici di una terra africana del «flusso passato» e quella di una Lisbona dell’esilio che è teatro di episodi razzisti che riguardando l’autrice in prima persona, come quello di un’amicizia impedita sul nascere perché il colore della pelle di Yara non soddisfa i genitori dell’amica portoghese, o ancora i commenti sprezzanti di chi critica sempre il diverso, che ai suoi occhi vuole sembrare più bianco o più nero.

La scrittura della Monteiro è una scrittura identitaria che cerca di ricostruire un io, una storia personale, una vita, tante vite passate, dinanzi all’esilio. Tenere presente la propria identità significa essere fedeli a se stessi, sempre e in ogni luogo. «Sou mulher sou negra» era la presa di coscienza di Vitória, «Vesto il rispetto degli antenati» è la forza di questo io poetico e la sua resistenza contro lo sradicamento.

Una voce che bisogna leggere per comprendere il Portogallo di oggi.

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