L’inumano futuro di Paul Lynch, unica via di salvezza la fuga

Una distopia in cui si immagina una svolta oppressiva e autoritaria in terra d’Irlanda, con un partito di estrema destra al potere. È “Il Canto del Profeta” con cui Paul Lynch ha vinto il Booker Prize. Tra blitz della polizia segreta e operazioni dell’esercito di ribelli, il destino di una famiglia sembra irrimediabilmente perduto, dilaniato da com’è da difficoltà e tragedie 

Uno spettro si aggira per l’Europa in un indefinito anno del nostro tempo, non è quello del comunismo come annunciava Karl Marx nel suo Manifesto del Partito Comunista del 1848, ma quello dell’autoritarismo e di un’ondata antidemocratica che ha colpito la Repubblica d’Irlanda ma che nell’allucinata e allucinatoria distopia di Paul Lynch, Il Canto del Profeta (66thand2nd, traduzione di Riccardo Duranti, 276 pagine, 18 euro) potrebbe benissimo applicarsi nelle più cupe previsioni a qualsiasi paese del Vecchio Continente, come del resto a qualsiasi paese del nostro mondo in preda a totalitarismi, guerre e negazione di qualsiasi diritto civile. Per il suo quinto romanzo Paul Lynch, scrittore irlandese del Donegal, i cui titoli sono stati tutti pubblicati da noi da 66thand2nd ha scelto scenari ancora più inquietanti di quelli dei suoi precedenti romanzi che come sempre indagano il lato più oscuro e malvagio dell’essere umano. Dopo la cosiddetta trilogia irlandese composta da Cielo rosso al mattino, La neve nera (qui l’articolo) e Grace e dopo un’escursione con Oltremare in un’avventura picaresca e marinaresca, Lynch torna nella natia terra d’Irlanda con le atmosfere più cupe che può fornire un immaginato e inumano futuro distopico e autocratico.

Lui inghiottito nel “buco nero”

Per il volume che gli è valso il Booker Prize del 2023 Paul Lynch racconterà di aver tratto ispirazione dalla recente guerre civile siriana con la conseguente ondata migratoria di profughi verso l’Europa. È il 2018 quando Lynch inizia la stesura del romanzo per il quale il suo autore ha confessato altresì debiti e suggestioni dall’opera di Hermann Hesse come traspare dal titolo di un’opera claustrofobica, dagli esiti agghiaccianti ma nella quale non manca una porta lasciata aperta alla speranza.

Una ferrea sceneggiatura romanzesca che privilegia il percorso emotivo dei singoli all’interno di uno scenario disperato quale quello di una società oppressiva e autoritaria nella quale gli eventi seguono sviluppi sempre più cupi. La famiglia Stack, composta da Eilish, una biologa di laboratorio, dal marito Larry, insegnante e sindacalista e dai quattro figli, in una Dublino plausibilmente dei giorni nostri, si trova a dover affrontare gli effetti più tragici dati dall’evolversi di un quadro politico e sociale che i sistemi liberali nei quali viviamo sembrerebbero non poter prevedere, invece quello che si pensa non potrebbe mai accadere accade: il partito di estrema destra National Alliance (traduzione letterale Alleanza Nazionale) è al potere. Una sera come un’altra agenti della polizia segreta vengono a bussare alla porta di casa Stack alla ricerca di Larry che però non c’è, non è ancora rientrato, come comunica Eilish agli agenti, è sparito, come se fosse stato inghiottito da un “buco nero”, quello stesso buco nero che «anche quando il regime sarà rovesciato continuerà a crescere e a consumare il paese per decenni»

Lei prova a salvare la famiglia

Eilish, alla quale le cortesi rassicurazioni degli agenti («Non c’è niente di cui preoccuparsi») non faranno effetto, si ritrova sola a occuparsi della salvezza del proprio nucleo affettivo. Una forma oscura di potere si insinua nelle pieghe di una famiglia per distruggerla, una dittatura democraticamente eletta, come accade in tutti i regimi dell’era moderna, con tutto il corollario di quei regimi oppressivi e autoritari, con lo stato di assedio sotto il quale si presenta Dublino, con il coprifuoco, con il tributo di persone scomparse che ricorda i desaparecidos argentini, mentre gli abitanti di quel pezzo di mondo si sforzano di dare una parvenza di normalità a una situazione angosciante. È proprio l’insistenza su un quotidiano dal quale sembra impossibile distaccarsi a dare al romanzo di Lynch quel surplus di inquietante e claustrofobico che scuote e devasta le coscienze, un po’ la stessa cosa che avviene con il recente film di Jonathan Glazer La zona d’interesse tratto dal romanzo del 2014 di Martin Amis, nel quale in un’ambientazione e pregnanza di significati del tutto diversa si ha in ogni caso il devastante sebbene silenzioso effetto che provoca l’irrompere dell’orrore e della distruzione nella nostra apparentemente tranquilla realtà quotidiana, nella fattispecie del film di Glazer tramite il ritratto dell’idilliaca vita della famiglia Höss, nella quale Rudolf è il comandante del campo di concentramento di Auschwitz, famiglia che vive accanto al campo e alle prese con le banali incombenze domestiche mentre del fumo nero esce dalla vicine ciminiere e si odono delle lancinanti grida in sottofondo. Nel romanzo di Lynch, Eilish fa i conti con l’angoscia derivante dalla scomparsa del marito ma continua a prendersi cura come qualsiasi madre dei propri figli, il cui maggiore ben presto entrerà in clandestinità arruolandosi nell’esercito dei ribelli, fonte di ulteriore angoscia per lei, occupandosi dei tre figli più piccoli con quel senso di precarietà e oppressione che lo sconvolgimento in essere che circonda tutto e tutti provoca. Dublino è sotto assedio, le libertà civili sono soppresse dal governo di destra che con poteri speciali ha neutralizzato la magistratura, le scuole e i negozi chiudono, gli scaffali dei supermercati si svuotano, i cittadini perdono il lavoro, per strada si spara e si lanciano bombe. Lo sfondo che dà l’ambientazione irlandese non può non fa pensare ai periodi i più bui del conflitto che ha avuto luogo in Irlanda soprattutto negli ultimi decenni del secolo scorso nei quali negli anni più cruenti dei cosiddetti Troubles i militanti repubblicani venivano incarcerati senza alcuna specifica accusa e garanzia, i tristemente innumerevoli casi di “internamento senza processo” a cui erano sottoposti i resistenti irlandesi al regime filo-britannico, la stessa cosa nei fatti che accade a Larry Stack, echi dell’annoso conflitto e divisione di una terra dilaniata che si hanno anche nell’immagine di cittadini profughi nella loro stessa terra in cerca di una salvezza che potrebbe essere quella da raggiungere varcando il confine con l’Irlanda Nord, confine che vale ricordarlo, seppure ammorbidito esiste ancora a tutt’oggi, come nella realtà odierna del resto nella Repubblica d’Irlanda è al potere un governo di destra.

Quel che resta della vita

Nella finzione distopica del romanzo si assiste all’esplosione dei combattimenti, con un’insurrezione armata che cresce in tutto il paese, dove i soldati dell’esercito regolare disertano e se intercettati vengono fucilati seduta stante dalla corte marziale, mentre dal lato opposto i ribelli sembrano poter essere cooptati da quelle stesse forze che dovrebbero combattere, un’implicita denuncia questa del pericolo di ogni rivendicazione e rivolta se non correttamente indirizzata che può trasformarsi in un’altra forma autoritaria e nazionalista. In questo quadro tanto spaventoso e devastante emerge ancora la quotidianità della famiglia Stack, o di quello che ne rimane, con Eilish costretta a dover affrontare la verità più terribile e il dolore più grande che possa essere riservato a una madre, una realtà che non sembra offrire nessuna via di fuga, nemmeno quella offerta dalla sorella che vive in Canada e che invita lei e quello che è rimasto della sua famiglia a fuggire da lei, con l’impossibilità di farlo, con i sogni a occhi aperti di Eilish e i suoi dialoghi immaginari con il marito scomparso e un passato che sembra irrimediabilmente perduto, rappresentato idealmente dal ricordo della programmata vacanza proprio in Canada poco prima dell’esplodere degli eventi.

La redenzione?

Sembra esserci poco spazio alla salvezza in uno scenario tanto disperato e inquietante, se non quei propositi di fuga della famiglia Stack, come per gran parte degli irlandesi ai quali non resta altro che scappare come profughi dalla propria terra, verso un mare che è confine geografico e quasi metafisico, simbolo arcano di una speranza che non può e deve mai morire, perché anche nella peggiore discesa agli inferi, e il romanzo di Paul Lynch con il suo avvertimento politico lo è, non si deve dimenticare che «dal terrore nasce la pietà e dalla pietà nasce l’amore e che con l’amore il mondo può essere redento e vede anche che il mondo non finisce, che è vano pensare che il mondo finirà all’improvviso nel corso della propria vita, che quello che finisce è la vita e solo quella, che il canto dei profeti non è altro che lo stesso canto cantato nel corso del tempo».

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