José Saramago, leggetelo ad alta voce…

Nel centenario della nascita ricordiamo José Saramago, letterato dissacrante e “blasfemo”, uomo appassionato e caparbio. Scrittura orale, coerenza dei suoi principi e ideali, denuncia della Chiesa che ha tradito i fondamenti della religione, constatazione della crisi della democrazia conducono alla sua grandezza, che consiste nella ricerca di una forma di verità anche e nonostante la relatività della storia… 

“Leggetemi ad alta voce” (1) diceva Saramago ad un pubblico sorpreso da quella forma stilistica che diventa subito un timbro di voce inconfondibile. Una scrittura che è oralità e che si presenta come “recupero, nella prosa narrativa, di un tempo poetico” (2) dove si susseguono ritmi, respiri, flussi musicali di parole che giocano con un uso non convenzionale della punteggiatura. Punti, virgole, maiuscole e virgolette, accapo e dialoghi rispondono a un ordine che, come suggerisce l’autore, ha più a che vedere con il canto e la recitazione che con lo stile narrativo tradizionale.

Pronostici

Era davvero diverso quel blocco di testo senza pause, quel muro di parole che si segue con angoscia e che si affaccia sulla scena letteraria internazionale con la pubblicazione del romanzo Una terra chiamata Alentejo nel 1980.

Oggi, nel centenario della nascita, ricordiamo “ad alta voce” questo genio della letteratura su cui è stato detto e si continua a dire moltissimo con grande ammirazione.José Saramago è uno di quegli autori che riverbera perché la sua opera si riflette nel nostro presente con un dialogo continuo, ininterrotto. Eppure, rileggere José Saramago con la lente dell’oggi post pandemico ha il sapore di un triste pronostico sulla condizione sociopolitica che ci troviamo ad affrontare.

Dietro al nome

Dietro quel nome c’è la storia che tutti conosciamo: quella di un uomo che si forma da autodidatta sui tavoli della biblioteca municipale del Palácio das Galveias a Lisbona e si guadagna i primi impieghi nel mondo dell’editoria, quando ancora la dittatura di Salazar impedisce di parlare ma non lo ferma dal militare nelle fila del partito comunista. Il clima di libertà politica e intellettuale che segue alla rivoluzione vede la pubblicazione delle prime opere di poesia e di cronache fino alla consacrazione definitiva con la pubblicazione di quel Levantado do chão (in italiano Una terra chiamata Alentejo) che i critici plaudono come l’ingresso di una voce nuova, forte, potente, precursore della particolare attenzione che l’autore riserva alle tematiche sociali, qui evocate nella redenzione sofferta di una generazione di contadini alentejani dalla schiavitù del feudo.

Apprendista autore

“Apprendista autore” si definisce nel discorso di accettazione del premio Nobel per la Letteratura, a lungo atteso e acclamato come il culmine di una carriera, unita ad un impegno sociale, straordinari. Chi sono questi “maestri di vita” ci chiediamo noi lettori che guardiamo a quel signore arguto e distinto come ad un grande maestro. La risposta è “i suoi personaggi”: quegli “uomini di carta e inchiostro” (3) che popolano le pagine dei suoi romanzi e che rivela essere la trasfigurazione letteraria di “persone comuni” quali lo erano i suoi nonni braccianti e a cui riconosce, con grande umiltà, la genesi dei suoi mondi narrativi.

Lontano dal voler fare di questo racconto un puro aneddoto letterario, è proprio qui il centro nevralgico di un’opera che è rimasta fedele ad un impegno sociale volto a riportare l’attenzione a questioni storiche e sociali di cruciale importanza per il nostro secolo, dalla critica ai valori etici e morali di un Occidente corrotto alla denuncia di abusi di potere da parte dei governi.

Se ne potrebbero dare molti esempi: Memoriale del convento dove la costruzione dell’edificio Mafra in Portogallo diventa la narrazione di un popolo schiavizzato che costruisce con le proprie mani un tempio che il tronfio orgoglio dell’élite cristiana vorrebbe veder competere con la basilica di San Pietro; e ancora Il Viaggio dell’elefante, testimonianza del fasto, dello spreco e della crudeltà di un sovrano portoghese e un’aspra critica all’inquisizione della Chiesa, simbolo di una religione che ha tradito i suoi fondamenti e si è venduta al regime del profitto.

I più eclatanti rimangono senza dubbio i romanzi Cecità e Saggio sulla lucidità, (disponibili, come la maggior parte dei suoi titoli, nel catalogo Feltrinelli). Del primo è ormai nota a tutti la trama, anche a causa del Covid, che ha stimolato letture congiunte del testo: una pandemia di cecità bianca perversa in una città senza nome e l’umanità intera precipita in uno scenario apocalittico di terrore, dove la convivenza sociale degenera in risvolti autoritari mediante la progressiva reclusione degli infetti all’interno di un ex manicomio. Ma è forse il testo Saggio sulla lucidità in cui si coglie maggiormente l’intento di esaminare la struttura del modello politico posto a fondamento delle nostre società, la democrazia, constatandone il declino e lo svuotamento degli ideali quando il potere insorge in maniera brutale nei confronti di cittadini che manifestano la propria insofferenza dinanzi all’incapacità delle istituzioni democratiche di rispondere ai loro bisogni.

Il passato come metafora dell’oggi

“L’attività letteraria può essere anche azione politica senza smettere di essere letteratura.”

“Questo è il prodigio della letteratura, esser capace di arrivare più a fondo nella coscienza dei lettori, anche quando si parla di un’altra cosa.” (4)

In queste parole è riassunta tutta la grandezza dello stile saramaghiano, che scava nella coscienza del lettore chiedendo un ruolo attivo e partecipe attraverso la riflessione e la presa di consapevolezza che la storia, usando le parole di Saramago, “ è una metafora dell’oggi”.

Ed è lo stesso stile ironico e dissacrante, da alcuni definito blasfemo, con il quale la sensibilità di José Saramago si rivolge ad un passato che è riflesso del nostro presente e svela i meccanismi fondativi della Storia con la S maiuscola, che non può e non deve essere considerata come l’unica versione possibile (5). La sua grandezza consiste nella ricerca di una forma di verità anche e nonostante la relatività della storia, nella consapevolezza di doversi rivolgere ad un presente immerso in profonda crisi, anche quando apparentemente gli volta le spalle e sembra guardare all’indietro. Ne è un esempio commovente, a riprova che la ricostruzione del passato è arbitraria, il romanzo Storia dell’assedio di Lisbona, una vera e propria rivisitazione dell’episodio storico che vede i crociati in aiuto del re portoghese nella riconquista di Lisbona nel 1147 attraverso l’inserimento di un “non”, da parte del protagonista Raimundo Silvia, nel testo originale che narra l’evento. Cercare di cogliere la portata dell’opera attraverso la lente del romanzo storico è limitante, spiega l’autore, rigettando quella che definisce l’”etichetta” del romanzo storico (6).

Diagnosi

Dall’opera emerge un uomo appassionato e caparbio, che si dedica costantemente a puntare i riflettori verso le persone più umili, gli sconfitti, i disillusi, vittime spesso della violenza perpetrata da parte di altri uomini o, ancor più grave, da parte delle istituzioni.

È la stessa coerenza di principi e ideali che lo conduce a ricordare al mondo, che lo guarda mentre riceve, finalmente, il premio Nobel, la ricorrenza dei cinquant’anni dalla firma della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, anche se i due eventi coincidono, perché “una volta che la data lo richiede” gli si consenta “di dire qui alcune cose” (7). In quest’occasione non risparmia critiche ai governi che non compiono il “proprio dovere” quando non si impegnano per garantire il rispetto e l’applicazione di quei diritti, rivelandosi agli occhi dell’autore per quello che sono: servi di un apparato economico-finanziario che detiene il controllo della società e dei capitali e che per Saramago è alla base di quella crisi profonda che lui scorge nell’aumento della povertà, della violenza, delle disuguaglianze, della concentrazione di capitali in mano di pochi.

Insomma, l’opera saramaghiana ha ancora tanto da dire in questa “next normal” che ci troviamo a vivere e in cui l’eredità pandemica ha acuito ancora di più i sintomi di un declino sociale, politico, morale e spirituale che la diagnosi di Saramago aveva così precisamente descritto.

E se, come sosteneva l’autore con un pessimismo forse eccessivo, l’arte e la letteratura non possono cambiare il mondo, è vero anche che certe letture, quelle che ci accompagnano per la vita, hanno la potenza e l’ardore delle grandi rivelazioni che offrono gli strumenti critici per sovvertire un mondo di facciata.

 

Note al testo

(1) Luciana Stegagno Picchio, José Saramago. Istantanee per un ritratto, Luciana Stegagno Picchio, Firenze, Passigli Editore, 2000

(2) José Saramago, L’acqua e il sangue di José Saramago, in José Saramago. Istantanee per un ritratto, Luciana Stegagno Picchio, Firenze, Passigli Editore, 2000

(3) José Saramago, L’autore si spiega, Milano, Feltrinelli editore, 2021

(4) Fernando Gómez Aguilera, As palavras de Saramago: catálogo de reflexões pessoais, literárias e politicas, São Paulo, Companhia das Letras, 2010 (la traduzione è di Silvia Gasparoni)

(5) José Saramago, L’autore si spiega, Milano, Feltrinelli editore, 2021

(6) Ibidem

(7) José Saramago, Discorso del Nobel, 1998

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