Il debutto di Parise, dove l’essenziale ha il sapore del miracolo

Poetici personaggi dal candore indimenticabile e un mondo di fiabesche macerie abitano le pagine de “Il ragazzo morto e le comete”, esordio di Goffredo Parise, di cui il 31 agosto ricorre l’anniversario della morte. Un romanzo ondeggiante, musicale e innovativo, che spicca per la forza affabulatoria della sua scrittura liquida e sfuggente

Romanzo dal fascino stralunato e misterioso. Da qualsiasi parte lo si prenda liquidamente sfugge. È la materia, la forma stessa del narrare con i suoi personaggi e la loro dolente e sublime poesia ad affascinare. Lirico e cubista, come lo definisce l’autore, il poco più che ventenne Goffredo Parise consegna all’amico editore Neri Pozza che lo pubblicherà nel 1951 Il ragazzo morto e le comete, romanzo surreale scritto a Venezia tra l’estate e l’inverno del 1950, esordio nella scrittura che sebbene avvenuto due anni prima con la prosa sperimentale de I movimenti remoti, un’opera scritta a mano su settanta fogli numerati il cui manoscritto fu dato per disperso per oltre cinquant’anni e pubblicato da Fandango Libri nel 2007, decreta la comparsa sulla scena letteraria italiana di uno dei suoi esponenti più rappresentativi nell’immediato dopoguerra, un’epoca nella quale il neorealismo la faceva da padrone e nella quale opere come quelle dell’allora sconosciuto autore vicentino che lambiscono i territori del fantastico sono guardate nella migliore ipotesi con sospetto.  Dopo l’apprendistato giornalistico sui quotidiani delle sue terre fino ad approdare al Corriere della Sera, Parise segue la sua vocazione di creatore di storie, ispirate sia a un crudo realismo e allo stesso tempo intrise di una rara poeticità e forza di penetrazione psicologica nelle pieghe delle esperienze umane, come l’autore de I Sillabari mostrerà appunto in quel caleidoscopio di storie, forse il punto più alto della sua opera e vero e proprio “dizionario dei sentimenti umani”, racconti usciti a più riprese e raccolti per la prima volta in volume nel 1972.

Vivi e morti, geografie che si confondono 

Il ragazzo morto e le comete (già titolo altamente evocativo) è l’esordio fatalmente difficoltoso per uno scrittore sconosciuto il cui testo verrà naturalmente rifiutato per la supposta illeggibilità o al quale verranno proposti tagli e revisioni che l’autore rifiuterà con sdegno.

Il romanzo narra la storia di un ragazzo fisicamente morto ma “non morto del tutto”. Il ragazzo del titolo, del quale non conosciamo né il nome né le fattezze muore a quindici anni nel 1945, colpito da una pallottola anonima. Il tragico nucleo del romanzo permette alla scrittura di scorrere liquida tra momenti razionalmente inconciliabili di passato e presente, nei quali si alternano la prima e la terza persona narrante, in un continuo travaso tra il pieno e il vuoto, tra la vita e la morte, in una delicata e macabra confusione di piani e prospettive. Il conterraneo Andrea Zanzotto paragonerà la poetica e l’espressività di Parise a quella “del sughero che ondeggia sul cupo liquor dell’esistenza facendosi spia delle correnti nascoste che lo travagliano”. Cose, eventi e immagini sono viste come tramite una lastra di vetro deforme o appannata che ci rende lo spazio del racconto o sovraesposto o sottotraccia, visibile o nascosto, un racconto fatto di vivi e di morti, di geografie che si confondono, personaggi che, come in un caleidoscopio, appaiono e scompaiono. L’innocenza (perduta) verso la fine della guerra e subito dopo di un gruppo di ragazzini nel contorno di territori slabbrati dove l’essenziale ha il sapore del miracolo, fantastici e poetici personaggi dal candore indimenticabile a partire da Fiore, l’amico che non si rassegna alla perdita del ragazzo di quindici anni e continua a cercarlo. Nonostante la morte il ragazzo non ha perso la parola, non è spirito ma sostanza che si concretizza nella voce dei personaggi che lo evocano, come in una sorta di seduta spiritica che fa della morte, nella suggestiva innovazione di Parise, materia. I suoi pensieri continuano a insinuarsi e a dare senso alle vite degli altri, a Primerose, una ragazza paralizzata che trova sollievo nei suoi pensieri, ad Antoine che vola in mongolfiera, a Edera il primo amore del ragazzo, a Squerloz che vive con un barbagianni e agli altri che popolano il mondo del ragazzo morto.

Le anime morte

Un mondo di fiabesche macerie, giornate spopolate dai bombardamenti in una vicenda onirica che si svolge geograficamente tra Vicenza e una Venezia mai così lugubre e destinazione finale del viaggio del ragazzo e coronamento di un sogno che assume le fattezze di un incubo, una Venezia che è il vero luogo di nascita di Parise pur essendo biologicamente venuto alla luce a Vicenza, poiché ci dice l’autore: “la vera nascita non è quella biologica, ma bensì la nascita culturale” e potremmo aggiungere quella letteraria, con l’affabulazione e la sua carica immaginativa. Ecco che se il ragazzo è morto rimangono le comete, che sono la letteratura stessa, le storie e i libri già scritti e quelli da scrivere ancora, come Goffredo Parise farà da lì in avanti.   

Le anime morte di questa piccola Spoon River ci guidano a mai scontate riflessioni su quei territori di frontiera che Parise nel suo esordio ha saputo tratteggiare in un modo evocativo e mirabile, struggente e inquietante, grazie alla forza affabulatoria della sua scrittura liquida e sfuggente come l’acqua sulla quale è adagiata Venezia, come gli incerti confini tra la vita e la morte.  

La collocazione delle maggiori opere di Parise nel catalogo Adelphi lo innalzano oggi alla statura di classico della nostra letteratura a dispetto dello stigma iniziale di quando la scrittura fantastica e la poesia in prosa de Il ragazzo morto e le comete era tacciata di illeggibilità e il romanzo veniva rifiutato per effetto dell’egemonia culturale neorealista della nostra letteratura nell’immediato dopoguerra, quando, se la letteratura fantastica avesse avuto bisogno di un romanzo che la potesse rappresentare al meglio questo sarebbe stato proprio l’opera di esordio di Goffredo Parise con il suo ondeggiante, musicale, innovativo e bellissimo romanzo.

A fronte dei tanti innovatori (o presunti tali) della narrativa dei giorni nostri, meglio tornare allora a un “classico”, e questo romanzo di vivi e di morti di quasi tre quarti di secolo fa dell’autore vicentino o veneziano che sia del quale oggi cade l’anniversario della scomparsa deve essere considerato tale.

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