I “sette libri per l’estate” di… Tullio Avoledo

L’autore de “L’elenco telefonico di Atlantide”, “L’anno dei dodici inverni” e “Chiedi alla luce” consiglia – tra autori nordamericani e inglesi – cinque romanzi, una raccolta di poesie e un saggio in lingua originale, non ancora tradotto in Italia

“L’intoccabile” di John Banville (Guanda)

Per me tuttora il capolavoro di un autore che sa rinnovarsi continuamente, non sottraendosi a sfide narrative che spaventerebbero autori meno dotati di lui, addentrandosi in generi e storie apparentemente refrattari, di norma, alla scrittura “alta”, come il giallo o le ghost stories. Questo denso romanzo è il racconto, realistico e al tempo stesso trasfigurato, dei “Cinque di Cambridge”, il gruppo di amici inglesi divenuti spie per l’Unione Sovietica. Un’opera che rappresenta per me il punto ideale d’incontro tra alta tensione narrativa e perfezione linguistica.

John Banville

“Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro (Einaudi)

Un messaggio in bottiglia arrivato da un mondo parallelo, un presente alternativo in cui la clonazione degli esseri umani e il suo uso distorto gettano una luce fredda sul nostro tempo in cui il mix tra un disordinato progresso scientifico e la perdita di qualsiasi empatia rischia di trascinarci nella più nera delle epoche. Un romanzo estremamente politico che è al tempo stesso una grande storia d’amore, o meglio di amori. Impossibile non emozionarsi per la delicatezza dei sentimenti che palpita in ogni pagina, in ogni sillaba. In assoluto uno dei miei libri preferiti di sempre. La traduzione di Paola Novarese è, per inciso, una delle più emozionanti che abbia mai letto.

Kazuo Ishiguro

“Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood (Ponte alle Grazie)

Un’altra distopia, fra quelle affrontate dalla brava e combattiva scrittrice canadese, come il recente ciclo fantascientifico – altrettanto consigliabile in toto – della MaddAddam Trilogy, imperniato sul tema delle manipolazioni genetiche e delle loro catastrofiche potenziali conseguenze. Mai come nel primo anno della presidenza Trump, ogni giorno della quale è a mio avviso una tragedia per il buon senso, prima ancora che per gli USA, è doveroso leggere o rileggere questo romanzo postapocalittico ambientato in quello che potrebbe essere il mondo ideale della nuova Destra americana. Agghiacciante, lucido, ispirato. Per lettori che resistono.

Margaret Atwood

“Le ore invisibili” di David Mitchell (Frassinelli)

In realtà di questo autore consiglierei tutto, ma se devo indicare un solo libro scelgo questo, che secondo me è una buona introduzione a un autore che unisce in sé una fantasia sconfinata, una capacità descrittiva fuori dall’ordinario (se volete una buona spinta per comprarlo sfogliatelo in libreria e fate un assaggio leggendovi i passaggi dedicati alla guerra in Iraq) e un sovrano disprezzo per le categorizzazioni di genere. Uno degli scrittori con il più sapiente controllo della trama e al tempo stesso con il più audace menefreghismo nei confronti di quello che chiamo “perfezionismo da editing” che rimangano ancora in libertà. Mitchell scrive volutamente libri imperfetti dal punto di vista del marketing editoriale perché sfida la pigrizia del lettore? O perché, avendo frequentato sul posto la cultura giapponese, si è fatto permeare dal concetto di wabi-sabi? Mah. Fatto sta che dopo l’innamoramento a prima lettura di Cloud Atlas aspetto ogni suo nuovo libro come la manna dal cielo nel deserto.

Daniel Mitchell

“La traversata” di Andrew Miller (Bompiani)

Ogni nuovo libro di questo giovane scrittore inglese è una sorpresa. Miller sfugge ad ogni cliché, dribbla qualsiasi aspettativa facendo gol di rapina con una pagina, una frase, un’idea. La traversata è un romanzo semplicemente impossibile da definire, un  castello incantato di parole che racconta apparentemente una storia lineare, quella dei giovani Tim e Maud, mentre in realtà si costruisce sul silenzio, sull’omesso, sul volutamente taciuto. Una scrittura evocativa e raffinata. Vorrei vivere ancora cent’anni e poter sfogliare una storia della letteratura inglese di allora, quando il tempo avrà scremato la produzione di questi decenni. Sono convinto che Miller occuperà un bel po’ di pagine. Ma forse anche no. Forse servirà più di un secolo. Vedremo.

Andrew Miller

“V.” di Toni Harrison (Einaudi), ma in genere tutta la sua opera poetica

Può un poeta fare il corrispondente di guerra e inviare, anziché un articolo, un sonetto dal fronte? Sì, se il giornale è The Guardian e il poeta è Toni Harrison, un autore che sa dov’è il centro della Storia e vi si piazza con la sua Rolleiflex fatta di parole, sia esso l’Iraq della Guerra del Golfo o la martoriata ex Jugoslavia della guerra civile, o il cimitero di una periferia industriale devastato dai vandali in cui riposano le ceneri dei suoi genitori.  Se volete innamorarvi per sempre della sua poesia cominciate proprio dai sonetti, contenuti in “V.”, dedicati alla perdita del padre e della madre: classicità e bellezza si uniscono a una grande commozione ma al tempo stesso anche alla ruvidezza e alla lucidità dell’ateo convinto. La poesia di Harrison è di quelle che illuminano il mondo. Il suo sguardo dovrebbe essere dichiarato patrimonio dell’umanità.

“Time Travel: A History” di James Gleick (Pantheon Books)

Avendo parlato solo di autori inglesi e canadesi, voglio difendermi dalla potenziale accusa di essere un inguaribile esterofilo (anglofilo, in particolare) citando un saggio di un americano. Non mi sembra sia ancora tradotto in italiano, ed è un peccato. Gleick esplora la recente meme (in termini meno eleganti: l’idea virale) del viaggio nel tempo, facendoci quasi toccare con mano la possibilità che in futuro anche il confine del tempo lineare possa essere superato. Un grande libro, che i viaggiatori nel tempo si porteranno dietro per secoli e millenni. Voi potete precederli, leggendolo in tempo reale, quasi fresco di stampa.

James Gleick

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