I “sette libri per l’inverno”… di Simone Innocenti

Appartati, irregolari, non del tutto compresi. La lista di proposte di lettura (qui tutte le altre che abbiamo ospitato) di Simone Innocenti, autore di “Vani d’ombra” per Voland, lascia trasparire una passione per gli outsider del Novecento italiano

“Il fanalino della battimonda” di Antonio Delfini (Lombardi editore)

Il romanzo più irregolare dello scrittore più irregolare del Novecento. Partorito in due sessioni di scrittura automatica, la storia si dipana in una realtà che spesso si confonde col sogno. Una sorta di misticismo che è un puro vagabondare da un’avventura a un’altra, da un’emozione a un’altra. La prosa è magniloquente, sempre in bilico tra l’autoesclusione e la comprensione piena. Di rara bellezza queste pagine, difficilmente scovabili perché fuori catalogo.

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“Moscardino” di Enrico Pea (Elliot)

Lo ha tradotto Ezra Pound. Lo ha amato Italo Svevo. Questo non è solo un libro, ma è un viaggio. Una sorta di diario di viaggio di un adolescente che si chiama Moscardino e che, ancora fortissima la vita della fine Ottocento, racconta ciò che vede attraverso gli occhi e ciò che è l’entroterra della Versilia. Lo stile è un’ondata improvvisa perché – come diceva Montale – Pea “è uno scalpellatore di parole e di uomini”.

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“Gymmkhana-Kross” di Luigi Davì (Hacca)

Considerato a torto un autore minore, Davì rappresenta una delle esperienze narrative più interessanti del Novecento. Autore di tre libri – pubblicati tra gli anni Cinquanta e Sessanta – nella collana I Gettoni di Vittorini, questo autore ha la capacità di descrivere la vita della fabbrica con un lessico molto particolare. I racconti ripubblicati da Hacca stupiscono e stordiscono per lirismo e per – a tratti – la violenza di una società che cambia velocemente. Troppo velocemente.

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“Poesie scelte” di Luigi Di Ruscio (Marcos y Marcos)

Poeta operaio, dal carattere difficile e irascibile. Scoperto da Franco Fortini, Di Ruscio vivrà a Oslo. Le sue liriche hanno la forza di una parola che diventa mondo, che ritma universi. La punteggiatura è partitura musicale. È erede, per certi versi, di Dino Campana. Anche i suoi romanzi – pubblicati da Feltrinelli con la curatela di Andrea Cortellessa e Angelo Ferracuti – hanno la potenza di una macchina che “sputa” immagini.

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“Il rasoio di guerra” di Vincenzo Pardini (Giunti)

È una raccolta di racconti usciti per la collana diretta da Enzo Siciliano. Ogni storia si conclude in maniera inaspettata, e tutto questo grazie all’uso di un linguaggio che continuamente evoca. Ed evoca così tanto da diventare un incantesimo sonoro. Violenza, sesso, animali, soldi sono solo alcune delle tematiche che lo scrittore lucchese affronta con un piglio che lo pone tra le grandi voci della scrittura del Novecento. Un piccolo gioiello.

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“Apologo del giudice bandito” di Sergio Atzeni (Sellerio)

La storia di un auto da fè ai tempi dell’Inquisizione per raccontare ciò che ancora oggi accade. I libri di Sergio Atzeni hanno tra gli altri pregi quello di creare una lingua che diventa mitologia. Questo romanzo sembra una fiaba tanto è il potere di avvincere il lettore. Una fiaba sarda, dai toni fieri e dal passo che viene cadenzato sui battiti dell’isola. Potente, potentissima la descrizione dei personaggi che restano a fine lettura.

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“Diceria dell’untore” di Gesualdo Bufalino (Bompiani)

Un amore nato nel sanatorio, nel dopoguerra, fra due malati. Ruota attorno a questa vicenda la capacità dell’autore siciliano di intessere emozioni e immagini che sfondano qualsiasi senso comune. Leggere Bufalino vuol dire lanciarsi da un aereo senza paracadute e riuscire a tenersi aggrappati alle nuvole. Il suo modo di portare avanti le immagini e la sua capacità di far ragionare i personaggi sono perfetti per il mondo narrativo che Bufalino crea. Un mondo che non smetterà mai di stupire.

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