Altre estati indimenticabili, altri libri splendidi

Dopo aver pubblicato un articolo collettivo della nostra redazione con consigli di lettura e ricordi legati alla stagione estiva (potete leggerlo qui), abbiamo invitato i nostri lettori a fare altrettanto, a dire la loro, a suggerire libri, a rievocare memorie personali a questi libri legate. La risposta ci ha sorpreso positivamente, in termini di coinvolgimento e numeri. Riportiamo una selezione rappresentativa dei contributi arrivati, ringraziando comunque tutti

“Il passato” di Alan Pauls (Sur)

L’amore è passato. L’amore è ossessione. L’amore è follia. L’amore è cinismo. L’amore è coraggio. L’amore è paura. L’amore è tragedia. Non avevo molti dubbi a riguardo ma un autore argentino, Alan Pauls, che avevo letto in passato ma senza essermene innamorata, li ha sciolti tutti. Col suo volumone Il passato. Non un romanzo super scorrevole, da ombrellone. Ma un libro ideale per la mia scorsa estate. Nelle precedenti e in quella in corso, adolescenza a parte e Shakespeare a parte, non avevo mai trovato qualcosa di simile. Non è uno scherzo, è un libro pazzesco. (Sofia Amato)

Pauls

“Arcadia” di Lauren Groff (Codice)

Potrei scrivermi delle mie estati felicemente stravolte da Malamud o da Philip Roth, da Jonathan Safran Foer o Nathan Englander, da Norman Mailer o John Updike. E, invece, vi racconterò di un’estate, non ricordo quanto lontana (diciamo meno di dieci anni e più di tre), segnata da un’altra voce americana, femminile però, quella di Lauren Groff. Il romanzo in questione non è quel miracolo indimenticabile di Fato e furia, ma il precedente e si intitola Arcadia, tradotto come i successivi da Tommaso Pincio; attraversa la storia americana dagli anni Sessanta al post-11 settembre, dal punto di vista di una comunità hippy. Se cercate qualcuno capace di scrivere attingendo egualmente e mirabilmente da reale e fantastico leggete questo romanzo di Lauren Groff. Recuperate anche gli altri suoi titoli. E vi renderete conto che non ci sono in giro quarantenni così bravi. (Grazia Battaglia)

Groff

“L’amica geniale” di Elena Ferrante (e/o)

Quando l’estate arriva si riconosce. Si riconosce dalla ricerca sfrenata di riparo sotto la sagoma nera di un ombrellone, dalla fuga necessaria da quel calore cocente che colora d’oro la spiaggia. E a quel punto, quando un milione di bocche esalano il loro sospiro sollevato per aver scampato il sole ancora una volta, subentra la noia. Sì, perché ci si rende presto conto che l’allontanamento dalla propria abitudine in questa ricerca di novità in una vacanza lontana spesso non basta, ed è nelle storie di altri che ci si deve recare. È nella quotidianità di chi, diversamente da noi, non ha bisogno di cambiarla nemmeno d’estate. A questo punto subentrano i libri. Di libri splendidi, devo ammettere, non ne ho letti molti. Di estati indimenticabili forse ne ho vissute alcune, ma non ritengo necessariamente che siano dipesi gli uni dalle altre. Penso comunque che la bellezza di un libro assuma tale aggettivo nel momento in cui è in grado di suscitare in me qualcosa, qualcosa che, di conseguenza, costringe la scrittura, la vicenda o anche solo il singolo personaggio a restare impresso a lungo nella mente e, perché no, anche nel cuore. L’Amica Geniale ha avuto questo effetto, e credo sia il libro migliore da consigliare a chi come me di estati indimenticabili ne ha vissute poche, ma ha intenzione di migliorare la prossima. La descrizione è quella di una quotidianità decisamente poco invidiabile, segnata dalla violenza, dall’invidia, dall’aggressività scaturita dalla brama di una vita completa, e soprattutto diversa da quella che negli anni ‘60 nel Rione di Napoli si era già destinati ad avere. Eppure tale quotidianità è scritta con parole così delicate e pregne di significato da apparire quasi pescate da un alfabeto diverso, e presto, dopo aver letto questi libri, sembrerà che Elena Ferrante sia l’unico essere umano a saper raccontare la vita nel modo giusto. Quello che L’Amica Geniale lascia al lettore non è soltanto una storia fatta di azioni, dialoghi e personaggi. È una storia di emozioni così forti e così raramente trattate, di sentimenti così presenti in ognuno di noi da assumere quasi un aspetto scontato, quando di scontato non c’è niente. Non racconta di un’amicizia, no. Racconta di un legame indissolubile tra persone, così imprescindibile da essere pericoloso, da causare dipendenza. Racconta di due vite in simbiosi, due fili intrecciati della stessa corda, ma così lontani e diversi da perdersi ognuno nel proprio ricamo, senza permettersi mai di lasciarsi andare. Alla fine di questa tetralogia ciò che rimane al lettore non sono soltanto quattro libri, ma due storie intricate, complete, tanto fitte, intense e reali da essere tangibili, da essere vivibili, condivisibili da chi permette a Lila e Lenù – le nostre protagoniste – di raccontarsi tra le pagine. Dunque se quest’estate lasciare andare la propria vita per un po’ non vi sembra abbastanza, permette alle loro di influenzare le vostre, e tornerete a casa con due storie in più da raccontare. (Valentina Boscolo)

Ferrante

“L’ultimo ballo di Charlot” di Fabio Stassi (Sellerio)

Un colpo al cuore nell’estate 2013, un colpo regalatomi da un libro di Fabio Stassi, L’ultimo ballo di Charlot. Io sono uno di quelli che maltrattano i libri, li piegano, se li portano ovunque e li sottolineano, con più colori se necessario. Vi lascio qui qualche frase di questo romanzo, giusto per farvi capire perché mi ha scavato dentro.

Cristopher, Alice fu la prima ragazza che mi si addormentò accanto. Si scavò un posto tra i miei fianchi, tranquilla, poi si lasciò andare al sonno, consegnandosi totalmente alla mia cura, e io smisi di respirare, perché è così raro divenire rifugio di qualcuno, anche per pochi minuti o ore.

Non fare tramontare il sole dell’ira sul tuo orizzonte, gli dicevo, la rabbia è un dono.

… l’unica telepatia che hanno gli esseri umani si chiama sensibilità.

Il mio destino è partire e perdere le cose.

Imparare a perdere la perfezione è troppo crudele e inseguirla per tutta la vita un gesto inutile e superbo.

Che si possa smettere di colpo di vedersi, di parlare, di toccarsi, e che quest’assenza durerà per sempre, continuò Naima, è una cosa incomprensibile.

… solo nel disordine dell’amore ogni acrobazia è possibile.

Arléquin, vecchio mio, perché hai inventato il cinema?

Volevo imparare cosa si prova quando sai che non rivedrai più una persona cara o l’amore della tua vita.

Insomma se ci riuscite, leggetelo senza innamorarvene. (Emanuele Burattini)

Stassi

“Salvare le ossa” di Jesmyn Ward (NN)

Sarò conciso. La scorsa estate ho letto Salvare le ossa e gli altri due romanzi che compongono la trilogia di Jesmyn Ward. Questa è una scrittrice come non ce ne sono altri al mondo. (Carmelo Costa)

Ward

“La dimensione oscura” di Nona Fernandez (Gran Via)

Nell’estate del 2019 mi sono imbattuto in un vostro articolo (si può leggere qui) su La dimensione oscura di Nona Fernandez. Ho acquistato il romanzo perché ho una passione speciale per il Cile e i suoi scrittori e mi sono ritrovato fra le mani un’esperienza di lettura unica. Mi sono rifugiato fra queste pagine. Non dico di più. Anzi aggiungo una frase del vostro articolo: «… per ascoltare i morti che reclamano attenzione, la cronaca non bastava più. Serviva la letteratura. Serviva Nona Fernandez». (Goffredo Farina)

Fernandez

“A che punto è la notte” di Carlo Fruttero e Franco Lucentini (Mondadori)

Un romanzo sugli anni Settanta che lessi in un’estate degli anni Ottanta. Semplice e complesso, denso e appassionante. È il libro a cui penso più spesso quando vedo le classifiche di oggi che traboccano di gialletti. Non ci sono in giro scrittori capaci di scrivere qualcosa come A che punto è la notte. (Bartolomeo Moretti)

FrutteroLucentini

“Tikkun o la vendetta di Mende Speismann” di Yaniv Iczkovitz (Neri Pozza)

I ricordi delle letture estive mi riportano alle vacanze trascorse al fresco in montagna e alla preparazione di un bagaglio apposito pieno di libri perché non sia mai rimanere senza una lettura appena se ne finisce una. Qualche estate fa ho amato tantissimo un libro di Yaniv Iczkovitz Tikkun o la vendetta di Mende Speismann per mano della sorella Fanny, edito da Neri Pozza nel 2018.

Iczkovitz è uno dei “giovani” (leva 1975) autori del panorama israeliano contemporaneo.

Perché mi è piaciuto? Perché ha tutti gli elementi che amo. La storia è si svolge nelle comunità ebraiche di quella terra di mezzo dell’impero russo di fine 1800 in cui si prepara una vendetta nei confronti di un marito che sembra essere scomparso nel nulla da parte della moglie abbandonata ma soprattutto da parte della sorella minore di lei, Fanny appunto. Fanny prima di sposarsi era una “shochetet”, una macellaia rituale, e quindi abile nell’arte della macellazione e nell’utilizzo, quasi artistico, del coltello. Di fronte alla fuga del cognato e alla rassegnazione della sorella, Fanny decide di agire. Capisce che non può restare con le mani in mano dando inizio a una serie di rocambolesche avventure.

Il titolo racchiude perfettamente la storia raccontata (a me ricorda tanto il titolo di un film che potrebbe essere di Quentin Tarantino… e gli elementi ci sarebbero tutti…) e l’espressione tikkun sta proprio a significare riparazione, «fare qualcosa al mondo che non solo ripari i suoi danni ma anche che lo migliori, preparando il suo accesso allo stato ultimo per il quale esso fu creato». (Raffaella Robello)

Iczkovits

“I superflui” di Dante Arfelli (readerforblind)

L’estate a cui faccio riferimento è questa in corso, largamente trascorsa, per me indimenticabile perché è la mia prima estate da mamma. E nei pochi, pochissimi, momenti che posso dedicare alla lettura sono stata ipnotizzata da un recupero sorprendente, da un autore che fino a poco tempo fa ignoravo. Pubblicare I superflui di Dante Arfelli è una sfida audace, ma leggerlo restituisce gioie da lettrice che non provavo da tempo. (Maria Clara Sala)

Arfelli

“Le morte” di Jorge Ibargüengoitia (La Nuova Frontiera)

Al netto di scrittori laureati, giustamente o ingiustamente, di miti universalmente riconosciuti, e di autori furbi, di scrittori bravissimi ma che hanno ancora il difetto di essere vivi, solo Pedro Paramo di Juan Rulfo e Paradiso di José Lezama Lima, fra i campioni dell’America Latina, mi hanno fatto sussultare come il capolavoro di Jorge Ibargüengoitia, Le morte. A regalarmelo un’estate, quando era ancora vestito di blu Sellerio, il ragazzo che poi è diventato mio marito. (Vittoria Sartori)

LeMorte

“Sicilian Comedi” di Ottavio Cappellani (Sem)

Un’estate di qualche anno fa… è stata forse l’unica estate in cui mi sono innamorata di un libro e non di qualcuno! Io isolana sono stata salvata da un isolano… di un’altra isola, ovvero Ottavio Cappellani. Scrittore formidabile, Cappellani, che adopera una lingua fantastica, intraducibile in alcuni vocaboli. La storia è pirotecnica ed esilarante, ci sono due famiglie mafiose e un matrimonio che sembra siglare una pax… Ma al di là della trama è una Sicilia colorata e surreale a colpire l’immaginario di chiunque legga Cappellani. Un’isola che lo stesso autore ha spesso sostenuto di descrivere tutto sommato realisticamente. Non sono ancora riuscita a visitare la sua Catania. Magari la prossima estate sarà la volta buona. Sarebbe bello intanto leggere un nuovo libro di Cappellani (Marianna Serra)

Cappellani

“Forse mio padre” di Laura Forti (Giuntina)

Nessun libro mi ha cambiato la vita, ma alcuni libri che mi hanno cambiato un’estate esistono. È successo, ad esempio, con Forse mio padre di Laura Forti. Un libro che si fonda sull’accusa e sul perdono, la storia di un dolore in qualche modo dolce, di un’eredità da tenere stretta al petto. (Pippo Testa)

Forti

“L’apprendistato di Duddy Kravitz” di Mordecai Richler (Adelphi)

Una quindicina di estati fa, più o meno. Pochissimi giorni di vacanza, ora come allora, perché il precariato sembra non finire mai. E, a farmi compagnia, il libro di un autore fra i miei più amati, Mordeacai Richler, non necessariamente il più bello, ma quello giusto in quel momento: mi ha indicato in che direzione non andare. Non sono diventata come il protagonista de L’apprendistato di Duddy Kravitz, nipote di un calzolaio del quartiere ebraico di Montreal. Duddy, cinico e senza scrupoli, che colpisce ed è colpito, ed è disposto a tutto pur di fare soldi, mai a corto di battute acide, sempre a corto di coscienza, avido. Personaggio dissacrante, dai molti volti, in qualche modo autoironico, che arrivò sulla scena letteraria negli anni Cinquanta e squassò la comunità ebraica locale. Per me resta un libro memorabile, un compagno d’estate come pochissime altre volte ne ho trovati. (Arianna Vianello)

Richler

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